Perché la Grecia deve fallire

«Si diceva una volta che il capitalismo senza la bancarotta era come il cristianesimo senza l’inferno: non c’è incentivo a fare la cosa giusta. Non è mai un bel momento quello in cui si è costretti a rimuovere questa forma di azzardo morale e si restaurano i principi validi per il lungo periodo, permettendo alla Grecia di dichiarare default. Se questa opportunità è esistita, ciò è avvenuto all’inizio del 2010, quando i problemi di Atene sono emersi per la prima volta. Da allora il settore finanziario, e in particolare la lobby dei banchieri, l’Institute for international finance, ha avuto più di un anno per promuovere la tesi secondo cui il default greco sarebbe stato disastroso per l’intero pianeta». Parole di Stephen Grenville, docente alla Australian National University. Grenville è stato vicegovernatore della Bank of Australia, ha lavorato all’Ocse e al Fondo monetario e attualmente è visiting fellow del Lowy Institute for international policy, un think tank di orientamento liberale che tiene particolarmente d’occhio lo scacchiere del Pacifico (tra l’altro avendo previsto anzitempo il grande balzo della Cina). Evidentemente il caso Grecia, il suo paradosso ed i suoi inganni, non sfuggono neppure all’altro estremo del mondo. Grenville dice in breve che la finanza e la speculazione sono riuscite a trasformare la crisi di Atene in una infinita fonte di guadagno capovolgendo la realtà: facendo cioè credere che il fallimento, lungi da essere salutare per i mercati e moralmente etico per la politica, avrebbe invece prodotto disastri inenarrabili. E trovando una sponda più o meno consapevole nella pavidità, nella mancanza di leadership e negli interessi delle autorità europee. È quanto questo giornale scrive da tempo, grazie anche a qualche dritta del nostro vecchio amico Gordon Gekko. Ma la domanda è: come mai tutto ciò è ben presente a Sidney ma appare terribilmente difficile da mandare giù dove la crisi infuria, a Berlino, Parigi e Roma? Ieri abbiamo assistito al consueto film: borse in picchiata, attacco ai titoli di Stato italiani con gli spread a quota 314, prossimi al record, plotone di esecuzione per i titoli bancari. E l’agenzia Fitch che afferma che l’Italia potrebbe aver bisogno di un’altra manovra. Domanda: ma il piano salva-Grecia ri-approvato la settimana scorsa non doveva dimostrare che nell’euro nessuno fallisce, e che quindi paesi come Italia e Spagna sono al riparo da ogni contagio? Altra domanda: gli stress test appena condotti sulle 90 maggiori banche europee non si sono risolti positivamente per tutti e cinque gli istituti italiani (Intesa, Unicredit, Ubi, Mps, Banco popolare)? Ancora una domanda: perché l’Italia è nel mirino se la nostra esposizione verso la Grecia è minima, con 1,3 miliardi di euro contro i 53 della Francia, i 34 della Germania, i 65 della Bce? Il risultato per noi di quanto combinato a livello europeo è il seguente: per salvare la Grecia dovremo sborsare altre 13 miliardi di euro. Ma tirando fuori questi soldi peggioreremo il nostro debito. Inoltre il tasso richiesto ad Atene – il 3,5 per cento – è sensibilmente più basso di quello dei nostri titoli pubblici. Quindi nonostante la manovra tremontiana approvata a spron battuto siamo in mezzo ai guai come e forse più di prima. Un comma 22 nel quale ci ha cacciato l’Europa, chiunque essa sia. E adesso che incombe anche il default degli Usa – che è ben altra cosa – vedrete che se riusciremo ad uscire da questo labirinto ci troveremo in un altro gioco di specchi. Complimenti a chi non ha lasciato fallire la Grecia un anno fa. E congratulazioni a tutti quelli – Grenville indica per esempio la lobby dell’Institute for International finance – che ci hanno convinti a tenere il morto in casa. Ci viene in mente un’altra metafora: per tosare ben bene la pecora bisogna non ucciderla. Una delle prime regole della speculazione: forse anche di questa euro-politica cinica e inetta.