Cinque mosse anti-patrimoniale
L'Italia ha due problemi enormi da risolvere: l'eccesso di debito e l'eccesso di spesa. Meno spesa oggi vuole dire meno debito domani, e meno debito oggi significa meno spesa per interessi domani. Per risolverli non basta approvare la manovra com'è, cioè senza ulteriori diluizioni che erano annunciate. La danza macabra degli spread si interromperebbe solo per pochi giorni, rispetto all'attesa dell'eurocrac comunque entro il 2013. Servono almeno una decina di miliardi di tagli aggiuntivi strutturali, e non di più tasse. Per esempio ripristinando il tetto pensionabile a 65 anni per le lavoratrici private a cominciare dal 2012 e a pieno regime entro il 2018, non a cominciare dal 2020 fino al 2032 come hanno corretto la prima stesura. Magari aggiungendo privatizzazioni immobiliari per un paio di punti di Pil. Si può fare di più, come ha chiesto ieri lo stesso governatore di Bankitalia, Mario Draghi, invocando altri tagli per evitare nuove tasse. Lo sa anche Tremonti che a Draghi ha risposto che il decreto per il pareggio di bilancio sarà rafforzato su tutto il quadriennio. Ma dove e come si possono ancora usare le forbici? Quali sono gli interventi draconiani necessari per pareggiare il bilancio, rilanciare la crescita ed evitare il calvario di una patrimoniale? Eccone una lista. CASTA Via le province e i vitalizi Parlamentari? Ne bastano metà Dalla riduzione dei costi della politica potrebbero arrivare altri 8 miliardi. Partendo dall'abolizione delle Province che secondo Perotti e Zingales vale 3 miliardi. Secondo il Sole 24 Ore di lunedì scorso, inoltre, i costi dei consigli di amministrazione delle partecipate, delle auto blu, degli enti intermedi e delle consulenze esterne ammontano in totale a 7,5 miliardi. E ancora: il costo complessivo di Camera e Senato è di 1,7 miliardi all'anno. Dimezzando il numero di deputati e senatori (portandolo così vicino alla media europea) e i vitalizi per ex deputati e senatori si risparmiano circa 900 milioni. Lo stesso fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ha chiesto con un editoriale che gli venga tolto il vitalizio da parlamentare: «Personalmente riscuoto come ex deputato un assegno netto da 2.400 euro mensili. Cinque anni fa inviai una lettera ai questori della Camera chiedendo che mi fosse annullato. La risposta fu che ci voleva una legge recepita dal regolamento della Camera, in mancanza di che l'assegno di sarebbe stato comunque accreditato». Già che ci siamo togliamo l'assegno anche a Toni Negri, che prende 3.108 euro per essere stato parlamentare 64 giorni, a Luciano Benetton (3.108 euro al mese), all'imprenditore Francesco Merloni (9.947 euro al mese), al fiscalista Augusto Fantozzi (3.108 euro al mese) all'ex top banker di Lehman Brothers Mario D'Urso (3.108 euro). Non solo. La seconda voce del bilancio pubblico è il monte salari, 173 miliardi, l'11% del Pil. Grecia, Spagna e Irlanda li hanno ridotti; anche noi possiamo fare altrettanto. Da una riduzione media del 3% (ogni ente pubblico può decidere se da minore impiego o minori salari), dolorosa ma non tragica, possiamo ottenere 5 miliardi. PRIVATIZZAZIONI Vendere tutto il patrimonio pubblico: immobiliare e non Il deficit di bilancio è sostanzialmente coincidente con la spesa per interessi: in altre parole, ci siamo indebitati per pagare gli interessi. Di fronte a questi dati, c'è una sola cosa da fare: vendere tutto il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, che non sia strettamente essenziale allo svolgimento delle attività che solo le amministrazioni pubbliche possono svolgere, come hanno suggerito anche gli economisti Roberto Perotti e Luigi Zingales in un intervento sul Sole24Ore di ieri. Si tratta di recuperare 140 miliardi con un risparmio di circa 5 miliardi di interessi l'anno. Perotti e Zingales hanno fatto un rapido calcolo di quanto si potrebbe ricavare dalla privatizzazione delle maggiori aziende: Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Finmeccanica, Fintecna, Cassa depositi e prestiti, Rai. Queste privatizzazioni (e quelle di molte altre partecipate) non solo ridurrebbero la spesa per interessi, ma darebbero un segnale molto forte ai mercati e agli italiani, e toglierebbero il terreno sotto i piedi al clientelismo, all'inefficienza e alla corruzione. Lo stato potrebbe conferire le sue proprietà in uno o più fondi privati che gli pagherebbero immediatamente l'80% del valore stimato (finanziandosi con debito), pagando poi il resto a vendite avvenute. Non solo. Il patrimonio edilizio, secondo una stima recente fatta da Ibl-Magna Carta, vale almeno 400 miliardi di euro mentre le attività della galassia delle municipalizzate sono stimate attorno ai 100 miliardi: tenendo conto dei debiti e di un possibile sconto di mercato, si possono raccogliere circa 30 miliardi. SPESA PUBBLICA Basta con le forniture sanitarie da 80 miliardi di euro l'anno «Se non si incide anche su altri voci di spesa - ha ammonito il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, all'assemblea annuale dell'Abi - il ricorso alla delega fiscale e assistenziale per completare la manovra nel 2013-2014 non potrà però evitare un aumento delle imposte». L'Italia può contare su «fattori favorevoli» per proseguire sulla strada del risanamento dei conti e superare le minacce dell'emergenza. Ma deve trovare «un intento comune, al di là degli interessi particolari e di fazione». Nessun Paese al mondo ha mai avuto uno sviluppo sostenuto quando la spesa pubblica supera il 40% del reddito nazionale. Tutti quindi concordano che per crescere di più occorre meno fisco su lavoro e imprese, ma ancora una volta siamo all'annuncio di una delega e gli interventi concreti saranno in un futuro incerto. Bisogna indicare al Paese alcune misure di risparmio essenziale e condivise, che identifichino con chiarezza grandi centri di spesa fuori controllo e non solo le tasche dei cittadini da cui reperire nuove risorse. Come fa notare Oscar Giannino, sul suo ChicagoBlog, questi comparti di spesa da ridurre con decisione ci sono eccome. Le forniture della sanità valgono da sole 80 miliardi di euro l'anno, e sono lievitate del 50% in sei anni, senza che dovessimo fronteggiare epidemie. Se non lo si può dire, perché nel frattempo la Lega ha chiesto e ottenuto che per il più ampio consenso ai decreti attuativi del federalismo fiscale bisognava promettere alle Regioni l'invarianza complessiva nazionale della spesa sanitaria ai livelli del 2009 – comprese dunque le forniture monstre – allora non ci si può stupire, se Regioni e Autonomie insorgono come un sol uomo contro il governo. FISCO Un'addizionale Irpef legata alla lotta all'evasione Un'intensificazione della lotta all'evasione aiuterebbe, ma i risultati richiedono tempo e sono incerti. Una possibilità suggerita dal tandem Perotti-Zingales è un'addizionale Irpef restituibile in caso di successo nella lotta all'evasione: ogni euro recuperato all'evasione viene restituito pro quota a chi ha pagato l'addizionale. Questo ha due vantaggi: è una tassa visibile, per cui i cittadini vorranno sapere che i loro soldi vengono usati bene; e crea un forte incentivo politico a fare sul serio la lotta all'evasione. Alla fine di giugno sulla riforma fiscale è intervenuta anche Assonime (l'associazione delle società per azioni) proponendo di ridurre il prelievo su lavoro e imprese, a gettito invariato per non venire meno agli impegni sul bilancio pubblico con l'Europa, con «uno spostamento dei carichi». In particolare la proposta prevede un aumento delle aliquote Iva dal valore di 40 miliardi e una imposta sulle attività patrimoniali delle persone fisiche da 9 miliardi e una tassazione uniforme dei redditi finanziari da 1 miliardo. Un totale di 50 miliardi di euro di maggiori entrate cui corrispondono significativi sgravi per le fasce di reddito meno abbienti attraverso contributi da 8 miliardi e una riduzione dell'aliquota Irpef più bassa dal 23 al 20% dal valore di 13 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti 15 miliardi per il sussidio generale di disoccupazione. Previste anche una tassazione degli affitti con cedolare secca (2 miliardi) e una riduzione dell'aliquota Ires (12 miliardi di euro). PENSIONI Subito l'innalzamento dell'età delle donne a 65 anni Accanto alle tante pensioni vicino al minimo, vi sono circa un milione 600mila pensioni oltre i duemila euro al mese, per un importo di oltre 60 miliardi. Alcune di queste sono totalmente sproporzionate ai contributi versati in passato, e non c'è nessuna ragione né morale né di equità per mantenerle al livello attuale. Da un taglio medio del 5%, secondo Zingales e Perotti, si possono ricavare 3 miliardi. Insieme con un innalzamento immediato dell'età pensionabile delle donne a 65 anni e con l'indicizzazione al Pil come avviene in Svezia e come proposto da Tito Boeri e Agar Brugiavini su www.lavoce.info, si potrebbe produrre un risparmio da quantificare esattamente, ma diciamo almeno 6 miliardi (le pensioni totali sono 250 miliardi, oltre il 15% del Pil; se non si può ridurre questa voce del 2%, che rigore è?). Secondo Alberto Bisin e Sandro Busco di NoiseFromAmerika, «il provvedimento di eliminazione della indicizzazione delle pensioni oltre i 2300 euro rende più tenue il legame, sia effettivo sia atteso per il futuro, tra contributi versati e la pensione percepita. Per decenni gli italiani sono stati educati all'idea che il livello della loro pensione non dipendesse in modo sostanziale dal valore capitalizzato dei contributi versati ma da altre variabili. Quando i cittadini osservano che i contributi versati non generano obbligazioni inviolabili da parte della controparte (lo Stato, in questo caso), ma semplicemente generano promesse che possono essere disattese a ogni consiglio dei ministri, allora è più probabile che i contributi sociali vengano considerati come una forma pura di tassazione, con i conseguenti effetti negativi sull'offerta di lavoro».