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Giulio fa la cosa giusta

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Sul documento in sette punti di tagli ai costi della politica che Giulio Tremonti ha presentato a Confindustria, Cisl e Uil, c'è poco da aggiungere, se non battergli le mani. Ridurre a standard europei i compensi erogati «a qualsiasi tipo, politico o di pubblico servizio, e a qualsiasi livello, tanto centrale quanto regionale, provinciale e comunale» non è utile è doveroso. Al di là, dunque, che serva a risparmiare ora che ce n'è bisogno. Stessa cosa si può dire di auto e voli blu, telefoni di servizio, dotazioni finanziarie di Camera, Senato e authority varie. Non sfuggirà che il capitolo più spinoso è quello che riguarda le pensioni e i vitalizi. Lo ripetiamo tal quale: «Escluso il Presidente della Repubblica, dopo la scadenza dell'incarico nessun titolare di incarichi pubblici, anche elettivi, può continuare a fruire di benefici come pensioni, vitalizi, auto di servizio, locali per ufficio, telefoni, ecc. attribuiti in ragione dell'incarico». Ci sembra troppo bello per essere vero: la tradizione italica delle pensioni d'oro di parlamentari, assessori, consiglieri, viene cancellata con un colpo di spugna, dalla prossima legislatura. Alla stessa maniera si riducono i finanziamenti ai partiti e i rimborsi elettorali. Certo, mancano all'appello altri tagli, che probabilmente frutterebbero di più sia in termini di soldi sia di consenso politico: per esempio, e non ci stancheremo di ripeterlo, la cancellazione delle province, che frutterebbe strutturalmente 14-15 miliardi l'anno. Ma è invisa alla Lega e al Pd. Comunque a questo punto è logico porsi alcune domande. E non per eccesso di dietrologia. Dell'intenzione del ministro dell'Economia di cominciare dalle spese della politica si sapeva.   Anzi, dovrebbe essere questo il "chiodo" al quale appendere le due manovre sulle quali Tremonti sta lavorando. La prima è quella da 45 miliardi da qui al 2014 per rispettare i vincoli di bilancio europei. La seconda è la riforma fiscale. Il punto è: quei tagli sacrosanti a quali altre operazioni fanno da apripista? E con quali conseguenze? La prima manovra sta a cuore soprattutto al ministro. Ed è invece guardata con sospetto dal premier. Berlusconi, che pure la difende in pubblico ed in ogni sede istituzionale – da ultimo la verifica parlamentare dei giorni scorsi – della reale entità, scadenze ed urgenza della manovra vorrebbe capire a sapere di più. E non lo nasconde nei colloqui privati. Ancora ieri, a Bruxelles, commentando la nomina di Mario Draghi alla presidenza della Bce – un indubbio successo dell'Italia e del governo – il Cavaliere ha puntualizzato che giovedì 30 giugno il consiglio dei ministri metterà a punto le correzioni «immediate», che «non saranno elevate», e che l'intervento vero e proprio, quello richiesto dall'Europa e presumibilmente intorno ai 40 miliardi, «sarà presentato successivamente». Attenzione alle parole. Berlusconi ha aggiunto: «Abbiamo avuto delle proposte dal ministero dell'Economia, abbiamo dato al ministro dell'Economia l'autorizzazione a discuterne anche con i sindacati e con la Confindustria. Stiamo trattando con i vari ministri». Se non è una briglia molto stretta intorno al collo di Tremonti, che cos'è? L'altra operazione, lo sgravio fiscale, è invece notoriamente l'obiettivo di Berlusconi, ma non può che passare per il ministro dell'Economia e per i suoi uffici delle Finanze che hanno prodotto un ingente lavoro di ricognizione su tutti i possibili campi d'intervento. Ed in questo momento quel ministro si chiama Giulio Tremonti. Lui e Berlusconi hanno indicato il traguardo di ridurre a tre le cinque aliquote esistenti, riducendo il loro peso, e contemporaneamente disboscare la foresta di 476 agevolazioni del nostro sistema tributario, pari a 196 miliardi di euro l'anno. Solo che Tremonti ha ancora in mente di finanziare i tagli di aliquote con potature equivalenti di questo o quello sconto, oppure con aumenti dell'Iva. Berlusconi, invece, è sempre più scettico. Citiamo un paio di esempi concreti. Nei files nella direzione delle Finanze contenenti gli sconti fiscali per le persone fisiche sono evidenziate in giallo quelle per la casa, che valgono in totale 21,5 miliardi. La linea tremontiana di ridurre al massimo questi benefit, lasciare i soldi in tasca ai cittadini "e poi loro ci fanno quel che vogliono" va bene per Berlusconi (e non solo lui), ma entro certi limiti. Diciamo finché si parla, sempre per dirla con Tremonti, di "finestre e palestre". Ma se per esempio si materializza l'ipotesi di eliminare la deduzione della rendita della prima abitazione, «per la quale - dice il ministro - abbiamo già tolto l'Ici» allora saranno guai. Il Cavaliere lo considererebbe un affronto. Proprio perché considera un vanto avere mantenuto la promessa dell'abolizione dell'Ici, reintrodurre la gabella sotto forma di rendita tassabile gli appare inconcepibile. E forse non a torto. Ma neppure l'ipotizzato scambio tra Iva e Irpef, con l'aumento della prima, gli sembra più molto convincente. Piace alla Confindustria e ai sindacati, per nulla alla Confcommercio che teme un ulteriore calo dei consumi con effetto depressivo sul nostro Pil. Carlo Sangalli, il potente capo dell'organizzazione dei commercianti, lo ha detto a chiare lettere proprio a Berlusconi, che due giorni fa si rammaricava per non aver potuto partecipare all'assemblea generale dell'organizzazione a causa degli impegni europei. Quindi? Forse il premier potrà accettare il trasferimento a carico dell'Inps alcuni sconti tipici dell'assistenza o della previdenza. O anche di parificare al 20 per cento la tassa sugli interessi finanziari, magari escludendo i titoli di Stato (che peraltro nei portafogli delle famiglie incidono per appena il 5 per cento). Ma difficilmente lascerà che Tremonti faccia tutto da solo la sua legge delega sul fisco. Stesso discorso anche per i tagli alla spesa pubblica previsti dalla correzione di bilancio. L'idea tremontiana di allungare a 65 anni ed oltre l'età di pensionamento per uomini e donne, anticipando l'aggancio all'aumento delle aspettative di vita, non è molto gettonata a palazzo Chigi; così come la sterilizzazione delle cosiddette pensioni d'oro. E terreno altrettanto minato è la cosiddetta mini-patrimoniale, proposta da personalità come Luigi Abete. Tremonti parrebbe tentato, il Cavaliere per nulla. Così come ancora è del resto da decifrare il fallout dei tagli alla politica proposti ieri dal ministro: non ci vorrà molto per capire. Si dirà: vecchia storia, Tremonti contro Berlusconi e viceversa. Non è solo questo. Stavolta la situazione è più complicata, e chi crede che si risolverà in uno scambio tra tagli europei alla spesa e tagli berlusconiani alle tasse, si sbaglia. Su tutto incombono infatti quelle che proprio il Cavaliere, nel suo recente – e azzeccato – intervento in Parlamento ha definito «le locuste della speculazione». Che non sono le richieste, che pure si fanno insistenti, della Commissione Ue affinché il governo precisi entro ottobre i dettagli della correzione di bilancio. Si tratta piuttosto delle famigerate agenzie di rating, che ormai non si limitano a diffondere outlook e rating, ma lasciano trapelare a piene mani, con uno stillicidio quotidiano, rumors ed indiscrezioni. Ieri una fonte ufficiosa di Standard & Poor's non ha voluto «né confermare né smentire» un possibile downgrading dell'Italia. Risultato: tra le 12 e le 13 la Borsa è andata nel panico, i titoli bancari hanno sfiorato crolli a due cifre, sono entrati in funzione i blocchi automatici (gli "stop-loss") aumentando però il caos. Ma soprattutto lo spread tra titoli italiani e tedeschi ha toccato i 214 punti: il massimo dall'introduzione dell'euro. Eccole all'opera le locuste. A mettere l'Italia nei pasticci basta una voce: magari diffusa ad arte, magari proprio per saggiare la tenuta del governo. Che cosa potrebbe accadere in caso di scontro plateale tra Cavaliere e Tremonti? Tra loro non c'è feeling personale, questo ormai lo sappiamo. Forse a dividerli non è più solo la tattica, ma anche la visione strategica del futuro del centrodestra. Ma sono condannati ad andare d'accordo, o almeno a fingere. Del resto, certi matrimoni d'interesse risultano i più riusciti.

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