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La crisi ci costerà 160 miliardi

La Corte dei Conti

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La Corte dei Conti tira le somme e quantifica il costo complessivo della crisi del 2008-2009: il Pil ha perso 140 miliardi a fine 2010. Perdita che salirebbe a 160 mld al 2013. Nel rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, la magistratura contabile spiega inoltre che per rispettare gli impegni europei e raggiungere un rapporto fra debito pubblico e Pil pari al 60% l'Italia dovrà ridurre il debito del 3% all'anno, pari oggi a circa 46 miliardi. «Va tenuto conto - osserva la Corte dei conti - delle implicazioni dell'inasprimento dei vincoli europei, ed in particolare della nuova regola, assistita da apposita sanzione di tipo praticamente automatico, secondo la quale i Paesi che registrano un rapporto fra debito pubblico e prodotto superiore al 60% dovranno ridurre lo scarto tra il dato effettivo e questo valore-soglia di un ventesimo all'anno (del 3% all'anno pari oggi a circa 46 miliardi nel caso dell'Italia)». Allo stato, spiega la Corte dei conti, gli sforzi necessari per rispettare gli impegni europei e conservare, quindi, «elevati valori di saldo primario» rendono «impraticabile» la riduzione delle tasse. Secondo la magistratura contabile il rispetto dei nuovi vincoli europei «richiede un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni '90, per l'ingresso nella moneta unica». Tuttavia, osserva, «a differenza di allora, gli elevati valori di saldo primario andrebbero conservati nel lungo periodo, rendendo permanente l'aggiustamento sui livelli della spesa, oltre che impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale, con la conseguente obbligata rinuncia a esercitare per questa via un'azione di stimolo sull'economia». E comunque una manovra non improntata alla crescita rischia di produrre «effetti depressivi» e di rivelarsi «non pienamente sostenibile». «Non può sottacersi - fa sapere la Corte dei Conti - il rischio che una manovra di bilancio impostata con dovuto rigore, ma non sostenuta da una adeguata strategia di crescita, eserciti effetti depressivi non auspicati e si riveli, per questo, non pienamente sostenibile». La relazione dei magistrati di via Baiamonti viene accolta senza polemiche dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti che, con una battuta, la definisce «non proprio da happy hour». Poi spiega: «Il ciclo delle riforme è appena iniziato e deve continuare. Tutto è aperto a formule costruttive ma considerando il principio cavouriano del giusto mezzo e dell'energica moderazione». Quindi il titolare di via XX Settembre usa l'espressione latina «Primum vivere, deinde crescere» aggiungendo che dopo la fase del rigore che ha permesso all'Italia di tenere in ordine i conti e quindi sopravvivere alla crisi, è giunto ora il momento delle riforme per le quali tuttavia non esiste «una formula istantanea e salvifica» perché «non si può immaginare che tutto avvenga in un attimo». E mentre Umberto Bossi si schiera al fianco di Tremonti («Bisogna tenere i conti in ordine in questo momento. Ha ragione, se no il Paese salta per aria»), il ministro Renato Brunetta sottolinea come il Rapporto evidenzi «il contributo dato dal pubblico impiego allo sforzo di aggiustamento dei conti pubblici compiuto per garantire stabilità e coesione di fronte alla crisi economia e finanziaria che ha colpito tutti i Paesi nel biennio 2008-2009». Ma l'opposizione va all'attacco. Per il vicepresidente vicario dei deputati Pd Michele Ventura, «i quarantasei miliardi all'anno necessari per riequilibrare il nostro bilancio e raggiungere gli obiettivi indicati dalla Ue ci dicono che è necessario che il Tesoro non ceda a trovate propagandistiche ed elettoralistiche. Quanto sottolineato dalla Corte dei Conti impone un'attenzione particolare alla crescita e ricorda che la spesa delle amministrazioni locali dev'essere tenuta sotto controllo. Altro che sanatorie territoriali! Servono immediatamente interventi sullo sviluppo». «Auspichiamo un immediato confronto sui conti pubblici italiani - aggiunge - perché, al di là delle petizioni di principio, è necessario capire come e dove si troveranno i miliardi necessari senza che a pagare siano i soliti noti». Più dura la reazione di Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e Welfare dell'Idv: «L'economia del Paese crolla ed è ora che governo e maggioranza vadano a casa. I dati diffusi dalla Corte dei Conti sono un'ulteriore prova dell'incapacità dell'esecutivo. Clamorosi sono i dati sulla perdita permanente di prodotto, pari a 160 miliardi, e la necessità di tenere in ordine i conti con una manovra correttiva di 46 miliardi. La Corte dei Conti fa il suo mestiere, e cioè fa i conti, mentre il ruolo di un governo è quello di agire per tempo, ma non lo ha fatto». «Il governo - proseguono - dovrebbe immediatamente mettere in moto i meccanismi per la crescita, ma sappiamo che continuerà ad occuparsi d'altro, e questo comporterà il rischio di un'ulteriore chiusura drammatica di settori fondamentali dell'economia italiana. Ciò che sta accadendo in queste ore alla Fincantieri è solo la punta dell'iceberg di uno scenario tragico in cui abbiamo 600 mila lavoratori in cassa integrazione straordinaria o in deroga, che rischiano, nel 2011, il licenziamento. Ecco perchP l'IdV chiede con forza che il Parlamento, invece di deliberare leggi ad personam, utili solo a Berlusconi, o tentare di impedire le consultazioni popolari del 21 e 13 giugno, si riunisca urgentemente per discutere di crescita economica e di lotta alla precarietà dei giovani». E anche Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del gruppo Pd, affonda il colpo: «Dire l'avevamo detto non basta più. È ora di indignarci per come il governo snobba ogni avvertimento. In un mese la crisi economica ha messo a nudo le gravi difficoltà che il Paese vive e il governo continua irresponsabilmente a far finta di nulla. Prima il Def approvato con numeri disastrosi, poi l'avvertimento di Bankitalia, il declassamento S&P, ora la Corte dei conti. Cos'altro deve ancora accadere perché Tremonti venga in Aula e chiedere un confronto con l'opposizione?».

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