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Assolte le banche Il caso Parmalat dalla truffa alla beffa

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Tutti assolti. Con formula piena, vuoi «per non aver commesso il fatto» o perché «il fatto non sussiste». I difensori delle banche estere e dei loro funzionari imputati per aggiotaggio nel processo Parmalat ci hanno messo quasi un interminabile minuto per prender coscienza di un'assoluzione che, anche ai loro occhi, ha del miracoloso. Ci vorrà molto di più perché i pm del processo, alcune punte di diamante della Procura milanese tra cui nientemeno che Francesco Greco, possano riaversi dalla sorpresa di una sconfitta su cui meditare. Con umiltà. Quella che non hanno dimostrato con l'ennesima campagna contro la revisione della legge 231, considerata il grimaldello infallibile per penetrare nei reati dei colletti bianchi. La legge non è stata ancora modificata, anche per la loro opposizione. Ma la «vecchia» 231 non è stata sufficiente per ottenere la condanna delle banche che hanno favorito, o comunque non ostacolato, il collocamento presso il pubblico di titoli obbligazionari Parmalat che non dovevano essere destinati alle famiglie. Nonostante che gli advisors internazionali abbiano tratto non pochi profitti dai rapporti con Callisto Tanzi. Per carità. Non bisogna dimenticare che le sentenze, anche le più sgradite, vanno rispettate. Ma di fronte a questa decisione, una volta passata la sorpresa, non resta che prender atto che: o le indagini sono state insufficienti, nonostante gli anni passati a setacciare i rapporti tra le banche e la vecchia proprietà di Collecchio; oppure la legge non è abbastanza efficace per proteggere il cittadino. Da questo punto di vista, la 231 si è rivelata, in barba agli elogi in arrivo dalle procure, un ottimo strumento per chiamare in causa le banche davanti ai giornali e così soddisfare l'opinione pubblica. Ma le banche hanno avuto facile gioco a dimostrare, grazie ai periti, di aver seguito alla lettera i regolamenti interni, rispettosi della legge italiana. Insomma, in assenza di intercettazioni o dell'uso della confessione estorta attraverso la carcerazione preventiva, le armi della giustizia italiana si riducono a duna pistola ad acqua. Ottima per suscitare le emozioni davanti alla tv, ma, al contrario di quanto sta accadendo nei prrocessi Usa sull'insider, incapace di raccogliere prove utili per una condanna. Il risultato, agli occhi dell'opinione pubblica, è comunque desolante. Da una parte, si deve prender atto che, a distanza di sette anni dal crack, una parte dei collaboratori «materiali» della truffa di Collecchio l'ha fatta franca. Difficile che lo stesso possa verificarsi oltre Oceano, a proposito dei misfatti di mister Madoff. Ma negli Stati Uniti, e non solo negli Stati Uniti, si è ormai consapevoli che la tutela della regolarità dei mercati finanziari è una regola essenziale per lo sviluppo economico. Guai se i cittadini perdono la fiducia nel corretto funzionamento dei mercati e delle istituzioni, vedi le banche, che devono operare al suo interno con un codice etico preciso. La conseguenza, se salta questo elementare principio, è il trionfo della legge della giungla che favorisce truffatori ed imbonitori senza scrupoli a danno dell'economia. È quanto è successo ieri al tribunale di Milano, a dimostrazione che il rigore dei «falchi», quando è intriso di dottrinarismo ideologico ma non supportato da mezzi e competenze, serve solo a far strage di colombe. Ma non dei predatori. Facile che, dopo quest'assoluzione a sorpresa, si invochino nuove leggi o si scarichi la responsabilità sull'esecutivo. In realtà, non c'entra nulla. Anche la legge migliore ( e la riforma della 231 darà senz'altro vita, se passerà, ad un provvedimento più chiaro, trasparente ed applicabile) serve a poco se non incontra giudici con una sensibilità adeguata. Ma questo provvedimento, potrebbe obiettare un ottimista, riabilita comunque le corti italiane di fronte alla business community internazionale: non è vero, insomma, che da noi le multinazionali debbano per forza aver torto. Sbagliato. Ciò che, a ragione, chiedono le grandi case straniere è la certezza del diritto che troppo spesso dalle nostre parti trasforma la corte di giustizia in una sorta di estrazione del lotto. Ma la sorpresa dei difensori di Morgan Stanley, Deutsche Bank, Bank oof America e Citigroup, al contrario, non ha nullla a che vedere con la serenità di chi ha ottenuto giustizia. Assomiglia, semmai allo stupore di chi ha pescato, a sorpresa, un terno secco.

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