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Guerra in Generali Geronzi se ne va

Cesare Geronzi

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Era stato anticipato come lo scontro finale nelle Generali. Così è stato. A soccombere è stato uno dei principali attori della finanza italiana: Cesare Geronzi. Che ieri ha rassegnato le dimissioni dal gruppo assicurativo prima del cda convocato in via straordinaria per mettere fine alle polemiche che per settimane hanno agitato i piani alti della compagnia. Un crescendo di attacchi. Della Valle contro Geronzi, e poi contro Bollorè con repliche al veleno. Il caos insomma. Che ieri si è placato. Alle 9 e 30 di mattina nel palazzo romano delle Generali, in piazza Venezia, tre consiglieri: Francesco Gaetano Caltagirone, Lorenzo Pellicioli e Alberto Nagel hanno bussato nell'ufficio del presidente. Gli hanno comunicato che al tavolo sarebbe stata presentata una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Firmata anche dai padroni di casa. E cioè dai rappresentanti di Mediobanca (che delle Generali ha il 13,4%) Nagel e da Vinci, rispettivamente ad e dg di Piazzetta Cuccia, che si sono aggiunti ai dissidenti: Della Valle, il numero uno di De Agostini Pellicioli, Miglietta (Ferak-Crt), i tre rappresentanti di Assogestioni - Calari, Carraro e la Sapienza - Petr Kellner gruppo Ppf e il tedesco Pohl. Schierati sullo stesso fronte anche i due ad di Generali: Perissinotto e Balbinot. Troppi. A quel punto il presidente ha gettato la spugna. Geronzi è rimasto tutta la mattina a discutere con i legali le condizioni per la sua uscita. Semplice e lineare. Così come la tela che nei giorni scorsi gli è stata costruita attorno per defenestrarlo. Ora a bocce ferme sono chiari passaggi che sembravano senza spiegazione come il ritiro dal consiglio di Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica e, nei giorni scorsi, quello di Ana Botin. Uscite che hanno ridotto il consiglio da 19 a 17 membri. Un vantaggio non indifferente per i consiglieri che hanno chiesto la verifica dei comportamenti di Geronzi. La verità non è importante. La cosa che colpisce è la sequenza degli eventi che da ieri si concatenano l'uno con l'altro. Stranezze che segnano tutta questa storia. Come il segnale dei mercati. E cioè i picchi toccati in Borsa da un titolo (fino a +6% per chiudere a +2,97) che si muove sempre con regolarità. Per muovere un flottante così vasto non è difficile pensare a ordini di acquisto già precaricati dagli investitori. Qualcuno sapeva. In genere, poi, abbandoni traumatici nella governance causano sconcerto e fuga degli investitori. È accaduto il contrario. Chi ha vinto da questa strana storia ancora non è ancora dato sapere. Gli operatori della finanza sono rimasti spiazzati dagli eventi. È indubitabile che a portare a casa un risultato sia Caltagirone. Lunedì scorso è stata pubblicata la relazione sulla governance della compagnia che, letta ora, ha un sapore quasi profetico. Vi si legge che Caltagirone è vice presidente vicario delle Generali. Ecco da ieri anche se per poco, visto che già domani il cda è convocato per scegliere il successore l'imprenditore romano è il presidente a tempo delle Generali. La sua volontà di restare socio forte è testimoniata dagli acquisti di di titoli anche nei giorni scorsi. Lui, ormai uomo di finanza, ha ancora interessi importanti nell'edilizia e nei servizi. Cose che alle Generali, che in pancia hanno un patrimonio immobiliare enorme, servono. Ha vinto anche Della Valle. Lui, l'industriale che si è fatto dal nulla, ha riaffermato un principio sacrosanto: «Comanda chi mette i soldi e chi i soldi li ottiene con il lavoro e non con la rendita». Semplice a dirsi, difficile da affermarsi. Eppure da ieri anche in Italia le azioni si devono contare e non più pesare come Cuccia insegnava. Della Valle è stato il capopolo di una sorta di «rivoluzione dei gelsomini» italiana, giovani contro un sistema di «arzilli vecchietti», non nelle piazze ma nei luoghi di potere. Lo ha detto lui stesso in un'intervista alla Annunziata in «In mezz'ora». Ha vinto forse anche Tremonti. In fondo dopo aver costruito un fondo sovrano pubblico, la Cassa Depositi e Prestiti, oggi potrebbe cominciare la costruzione di un fondo sovrano privato. Non è un caso che il possibile successore di Geronzi potrebbe essere l'ex ministro del Tesoro Domenico Siniscalco. Oggi è presidente di Assogestioni, l'associazione dei fondi di investimento. Possessori di azioni in società quotate ma che troppo spesso non mettono bocca nelle gestioni industriali. Il vento sta cambiando anche lì. I voti dei consiglieri eletti dall'associazione sono stati determinanti per mettere alla porta Geronzi. Nelle liste di minoranza delle società pubbliche, i cui vertici sono stati nominati da poco, Assogestioni ha espresso manager di peso, come Alessandro Profumo. Al braccio della Cdp Tremonti potrebbe così aggiungere un braccio operativo privato in grado di finanziare sviluppo. Sciogliere grandi stock di patrimonio fermi e trasformarli in flussi creatori di ricchezza reale. Non manca la politica. La guerra in Generali anticipa scenari futuri, nuovi equilibri e certifica la fine di un ciclo. Si aprono nuove posizioni politiche. La barra si sposta al centro. E i nomi per ora sono Montezemolo, Casini e Della Valle. Per ora.Perché tutto può ancora accadere. Il dopo si è già aperto e i giochi sono da fare. E ieri Berlusconi sulla vicenda non ha aperto bocca.

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