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Leonardo Ventura Dopo il no alla manovra fiscale e le probabili elezioni anticipate, le agenzie di rating prendono di mira il Portogallo portandolo vicino al «junk», il livello altamente speculativo.

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Apoche ore dal «downgrading» di Fitch giovedì, nella nottata anche Standard&Poor's ha tagliato il merito di credito del Portogallo portandolo a «BBB», appena due gradini sopra il livello «spazzatura». Il rating portoghese si colloca così al di sotto di quello dell'Irlanda: va peggio, fra i Paesi dell'area euro, solo la Grecia che viaggia a BB+ (livello speculativo). La sconfitta del governo al voto di mercoledì, e le conseguenti dimissioni del premier Jose Socrates - scrive S&P in una nota - creano «una maggiore incertezza politica che potrebbe danneggiare la fiducia dei mercati aumentando il rischio di rifinanziamento». E a seconda di come funzionerà il pacchetto di aiuti europeo, S&P si riserva un altro taglio già la prossima settimana. «Il Portogallo non ha bisogno di aiuto - si è affrettato a rassicurare ieri a Bruxelles il premier uscente - è in condizione di finanziarsi sui mercati». Non c'è, ancora, la richiesta di accesso al Fondo salva-Stati dopo che Jean-Claude Juncker, presidente dell'EUrogruppo, aveva ipotizzato un pacchetto di salvataggio da 75 miliardi. Lo scenario adombrato da S&P, però, si è avverato sui mercati ieri: il tasso d'interesse che gli investitori pretendono per comprare titoli di Stato portoghesi è volato al 7% sulla scadenza a due anni, e al 7,78% sul decennale, in entrambi casi ai massimi da quando esiste l'euro. Con 9,5 miliardi di euro di debito da rifinanziare sul mercato fra aprile e giugno, anche Lisbona riconosce che tassi del genere sono insostenibili. E sul tema della crisi dei debiti sovrani si sono incontrati ieri a Bruxelles i leader europei che hanno certificato che la crisi dei debiti sovrani resta una grave minaccia per la stabilità dell'Eurozona. Così nella stesura delle prossime Finanziarie, sono chiesti maggiori sforzi ai Paesi con i conti più in disordine. Paesi che - anche alla luce delle persistenti turbolenze sui mercati - sono invitati a spingere sull'acceleratore sul fronte del consolidamento dei propri bilanci. «E nella maggior parte dei casi, serve un aggiustamento strutturale su base annua ben superiore allo 0,5% del Pil» hanno spiegato i leader nel documento finale.

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