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Parmalat pronta a vendere

L'Ad di Parmalat Enrico Bondi

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«I conti li avete visti, la parola agli azionisti». Sembra uno slogan quello ripetuto dal numero uno della Parmalat che ieri a Milano ha presentato i risultati del gruppo alla comunità finanziaria. Nessun commento sulla battaglia che dovrà affrontare il 13 aprile in assemblea contro chi lo vuole mandare a casa: ovvero un gruppo di fondi che ha raccolto il 15,3% del capitale e preparato una lista per defenestrare l'ad azzerando di fatto l'attuale cda. «Il nostro atteggiamento è passivo, noi siamo spettatori», si è limitato ad aggiungere ieri anche in merito all'ipotesi di una di una cordata italiana sollecitata da Intesa Sanpaolo che è socia di Granarolo, per contrastare l'azione dei fondi esteri con un investimento su circa il 30% del capitale. A fare da capofila è stato chiamato il fondo Charme della famiglia Montezemolo che avrebbe dato la sua disponibilità a partecipare, a condizione che il progetto sia in grado di attrarre imprenditori e capitali. Ma su questo fronte risposte non sono ancora arrivate e il tempo stringe: il 18 marzo infatti scadono i termini per presentare le liste per il rinnovo del consiglio del gruppo alimentare. Bondi ha dunque preferito illustrare agli analisti i numeri della società di Collecchio che punta a una crescita dei ricavi a quota 4,78 miliardi nel 2013 (ovvero l'11,1% in più rispetto al 2010) e il piano di dismissione di attività non strategiche (partecipate o proprietà immobiliari, tra cui uno ad uso agricolo di grande valore vicino a Roma) da 200 milioni entro il 2013-2015. Nella presentazione di ieri si sono inoltre riaccesi i riflettori sulla Centrale del Latte di Roma. Il 2 marzo 2010 una sentenza del Consiglio di Stato ha riportato l'orologio della Centrale indietro di 12 anni: i giudici hanno infatti deciso che la privatizzazione del ‘98 è da considerarsi nulla così come il contratto di vendita per 80 miliardi di vecchie lire del 75% alla Cirio di Cragnotti (quota poi rivenduta un anno più tardi alla Parmalat di Tanzi). Sulla pace armata fra il Comune di Roma e Bondi pendono ancora 2 giudizi in Cassazione, un terzo ancora da avviare, un ricorso al Tar per inottemperanza e una causa civile. L'obiettivo è mantenere il controllo della società di cui Parmalat è «legittima titolare», anche perché quando ha conquistato il timone di Collecchio, nel 2003, Bondi ha ricevuto in eredità dalla disastrosa gestione Tanzi una Centrale dissestata mentre oggi il 75% dell'azienda sul bilancio consolidato di Parmalat ha un valore di carico di 104 milioni, un fatturato di 140, e la Centrale è diventata il marchio di riferimento per tutto il Lazio. «Anche se le sentenze ci dessero torto, - ha spiegato il responsabile degli affari legali, Nicola Walter Palmieri - non avremmo alcun obbligo di restituire le azioni se non a fronte del riconoscimento a nostro favore di un premio per le migliorie che abbiamo apportato nel frattempo. E tali migliorie, a nostro parere, sono altissime».

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