Stop ai beni personali del raìs Prudenza sulle quote azionarie
Si sono ritrovati ieri in mattinata al ministero del Tesoro. Attorno a un tavolo sotto la presidenza del direttore generale del dicastero, Vittorio Grilli, si sono seduti i membri del Comitato di sicurezza finanziaria (Csf). Insieme per verificare che il blocco dei beni, imposto dall'Ue il 28 febbraio e reso vincolate il 2 marzo, al leader libico Muammar Gheddafi e ad altre persone del suo entourage fosse stato correttamente disposto. Nulla da eccepire è stato il senso della riunione. E per aumentare il livello di attenzione sulla materia la amministrazioni che compongono il Comitato, cioè i rappresentanti dei ministeri del Tesoro, Interno, Giustizia ed Esteri, oltre a Bankitalia, Consob e Isvap, hanno preso per questo l'impegno a «diffondere attraverso i propri canali informativi disposizioni tecniche agli intermediari italiani per assicurare il rispetto della normativa europea». Solo un passaggio formale, dunque, visto che lo stop ai beni era operativo dal giorno di pubblicazione del regolamento europeo, e la Banca d'Italia aveva già attivato l'Unità di informazione finanziaria per stoppare eventuali movimenti sospetti sui beni. L'appuntamento però tenuto in maniera inconsueta il sabato mattina per l'indisponibilità di Grilli, nei giorni passati a Bruxelles per la nomina di presidente del Comitato Finanziario europeo, è stata anche un'occasione di confronto sulle future azioni che, in ambito comunitario o internazionale, dovessero essere prese contro il regime di Tripoli. Nei prossimi giorni infatti il Csf sarà operativo nel «continuare a operare coordinando le diverse istituzioni competenti in materia per assicurare il costante monitoraggio della situazione e predisporre l'immediata ed efficace applicazione di eventuali nuove decisioni dell'Unione europea rispetto al congelamento di beni libici negli Stati membri». Insomma di congelare le quote e le partecipazioni azionarie che la Libia attraverso i fondi sovrani Lia (Libyan Investment Authority) e Lafico (Lybian Arab Foreign Investment company) o direttamente con la Banca Centrale di Libia possiede nelle aziende italiane non se ne parla. Almeno per ora. Il Csf è in ogni caso solo un organo tecnico e la decisione sul blocco spetta solo al Governo. Che non sembra propenso ad agire unilateralmente come fatto, ad esempio, dalla Gran Bretagna. Lì il gruppo Pearson, società che edita il Financial Times, ha bloccato le azioni libiche sulla base di consulenze giuridiche che hanno dimostrato il collegamento diretto tra il Colonnello e i suoi bracci finanziari. Una tesi che non ha convinto Berlusconi che da Helsinki venerdì scorso ha ribadito: «Occorre distinguere bene sulle partecipazioni della Libia in quanto popolo libico e le partecipazioni che invece sono attinenti ad una famiglia: quindi staremo molto attenti a una distinzione». Una puntualizzazione a cui si aggiunta la considerazione del ministro Tremonti che, da Istanbul, ha messo in allarme sulle conseguenze del congelamento di asset a un fondo sovrano. Una notazione da non sottovalutare. Nei paesi occidentali, soprattutto dopo la crisi finanziara del 2007, sono arrivati a tenere in piedi il sistema economico-finanziario flussi enormi di denaro non solo dalla Libia ma dai paesi del Golfo Persico. Potenze finanziarie gigantesche con una capacità di investire una «cassa» ingentissima. La mancanza di certezze giuridiche derivante da un atto d'imperio da parte di un governo (nel caso appunto di un congelamento non motivato) potrebbe far loro cambiare idea. E aprire a disinvestimenti miliardari in grado di generare destabilizzazioni. Tremonti e Berlusconi guardano così non solo ai dollari del petrolio di cui è pieno ad esempio il fondo Aabar di Abu Dhabi. Ma anche ad altri fondi sovrani come quello cinese attento da tempo alle potenzialità dell'Italia. Per comprendere cosa può significare per un'economia un fondo sovrano come quello di Pechino basta pensare al piano delle ferrovie che la Cina ha messo in cantiere. Si tratta di circa 110 mila chilometri di binari da posare nel paese della Grande Muraglia, dieci mila dei quali ad Alta Velocità, sui quali i treni abilitati sono costruiti principalmente da aziende giapponesi, francesi e italiane. Non è escluso che un fondo sovrano possa, visto l'enormità delle commesse in ballo, acquistare quote nelle società costruttrici. Che potrebbero anche essere invitate ad aprire stabilimenti in Cina facilitando trasferimenti di tecnologie da un continente all'altro in cambio di flussi monetari imponenti. Solo scenari. Ma che possono dare l'idea delle opportunità di crescita in ballo. E che hanno bisogno di regole certe e chiare visto che in gioco sono gli Stati in persona. Forse anche questo spiega la prudenza di Berlusconi e Tremonti sulle quote di Tripoli.