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Marchionne fa l'americano. Da solo

Sergio Marchionne

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Marchionne torna ad agitare la scena politica. È bastato che ventilasse l'ipotesi dello spostamento della sede della Fiat da Torino a Detroit come conseguenza della fusione di qui a due-tre anni, con Chrysler per rimettere in moto polemiche a tutto campo. A cominciare dall'opposizione, Pd in testa, che chiama in causa il governo colpevole di non saper «governare» le scelte dell'ad della Fiat, alla Fiom che torna alla carica contro il progetto «Fabbrica Italia». Ma sconcerto c'è anche nel governo e tra quei sindacati, Cisl e Uil, che hanno appoggiato e sottoscritto gli accordi di Mirafiori e Pomigliano. Ma c'è anche l'imbarazzo di Torino per una accelerazione che viene considerata quantomeno «azzardata». Dal Lingotto si fa notare che Marchionne ha tracciato uno scenario, che presenta diverse possibilità. Il dato certo è che le due società, Fiat e Chrysler, sono destinate inevitabilmente ad unirsi. Il problema, semmai, è stabilirne la sede, ma è prematuro parlarne quando ci sono ancora diversi passaggi tecnici da portare a termine: dalla salita graduale nel capitale della società americana, al risarcimento dei prestiti concessi dal governo americano e da quello canadese. Ma questa interpretazione non smentisce, anzi, rafforza quanto sostenuto da Marchionne. Peraltro la direttrice su cui si muove Marchionne che ha come punto di partenza la fusione con Chrysler, è la creazione di un gruppo globalecon sede a Detroit, e più teste, ognuna per ogni area continentale. Giuseppe Berta, docente alla Bocconi ed ex responsabile dell'archivio storico Fiat, nonchè profondo conoscitore dell'azienda torinese, parla del 2011 come «l'anno chiave, l'anno cruciale per la riorganizzazione societaria». In questo contesto, evidenzia ancora Berta, «si capisce meglio anche l'operazione sulla produttività voluta da Marchionne in Italia: saranno utilizzati solo gli impianti efficienti, che rispettano standard internazionali. Non si può pensare che ci sia un occhio di riguardo per l'Italia».   Ed è proprio sul contrasto tra i sacrifici che Marchionne ha chiesto agli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori e la prospettiva dello smobilizzo di Fiat dall'Italia che ieri hanno preso fuoco le polemiche e le accuse. A partire dalla Cgil, che denuncia l'ennesimo, strappo e chiama in causa il governo. «Il governo faccia una volta tanto il suo mestiere e quindi convochi Marchionne, discuta il piano industriale di Fiat», scandisce il leader di Corso d'Italia Susanna Camusso. Incalza la Fiom con il segretario Landini che torna a chiedere «una mobilitazione generale». Tuona il leader del Pd, Pier Luigi Bersani: per il 150° dell'Unità d'Italia dobbiamo aspettarci il regalo a Torino e all'Italia di diventare la periferia di Detroit? Ma questa volta anche il governo prende le distanze da Marchionne. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi chiede al manager della Fiat «la garanzia di un trasparente e continuo confronto con le istituzioni e le parti sociali». E avverte: «l'Italia si è guadagnata il diritto a conservare funzioni direzionali e progettuali». Un chiarimento potrebbe venire la prossima settimana quando il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani incontrerà Marchionne nel quadro delle procedure fissate in vista della firma dell'accordo di programma per Termini Imerese, fissata per il 16 febbraio.  

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