Tasse sovietiche, federalismo bulgaro
Il Tempo di ieri ha spiegato come la sinistra stia nuovamente cadendo nella tentazione di sottoporre gli italiani a una torchiatura fiscale, mascherata da rilancio del lavoro e sostegno ai giovani. Quando sentite parlare di "riequilibrio" in nome dell'equità e dello sviluppo, non fidatevi: è in agguato il vizietto delle tasse e della spesa. Del resto colpire il blocco sociale moderato, aumentare le tasse e cercare di liquidare per vie brevi Berlusconi sono facce di una stessa strategia. Il Cavaliere lo sa meglio di tutti, tanto che sulla riduzione delle tasse – quando è stato possibile – o sul non aumento della pressione, e sul tentativo di creare quella che Giulio Tremonti definì felicemente una società di proprietari e di imprenditori di se stessi, ha basata l'intera sua fortuna politica. Anche per questo martedì sera Berlusconi, nel vertice di palazzo Grazioli, era piuttosto irrequieto per le mosse della Lega sul federalismo municipale. Non ci vede molto chiaro, e noi con lui. Finora ci hanno infatti insegnato due cose: il cardine del federalismo sta nel controllo dei cittadini sulle spese; e per l'immediato almeno nell'invarianza della pressione tributaria, con l'obiettivo di giungere a risparmi significativi per tutti, abolendo la marea di spese inutili degli enti locali. Tuttavia la Lega intende blindare politicamente ciò che giustamente considera il proprio obiettivo strategico, e dunque ha condotto la trattativa con i comuni oltre i tempi supplementari. Con concessioni significative: dalla cedolare sugli affitti, che avrà due aliquote (20 e 23 per cento) e non più una; alla nuova imposta municipale sugli immobili, che dovrebbe raggruppare le innumerevoli gabelle esistenti, dove invece non c'è molta chiarezza; fino al via libera a sindaci e amministratori di applicare addizionali finora bloccate. E qui ci piacerebbe davvero saperne di più. C'è infatti il rischio che trasparenza e responsabilità vadano a farsi benedire con la leva fiscale di nuovo nella discrezionalità dei sindaci, più che sotto il controllo dei cittadini. E soprattutto che alla fine la riforma abbia costi (federalisti, s'intende) superiori ai risparmi. Almeno per la maggior parte dei contribuenti: grosso modo quelli che hanno la jella di dimorare al Centro-Sud. Quanto alle varie ipotesi di riordino delle imposte sulla casa, non vorremmo che il vecchio sistema sovietico praticato dalla sinistra e dalla Dc di aumentare in modo sistematico e omeopatico le rendite e le tasse, e che aveva il suo simbolo nell'Ici, venisse sostituito da un metodo magari bulgaro, da una maxi-imposta in apparenza conveniente ma destinata nei fatti a divenire il ricettacolo di altre spese e disservizi così care alla politica locale, a cominciare dai rifiuti. Come si combineranno l'Imu e la Tarsu? Qualcuno lo spiegherà con chiarezza? Il problema più serio è però la trattativa con i comuni per liberalizzare le addizionali che lo stesso centrodestra aveva bloccato. Parliamo delle sovrattasse ordinarie, non di quelle straordinarie che regioni come Lazio e Campania, e comuni come Roma, devono applicare per ripianare i deficit mostruosi del passato. Le aliquote federaliste dovrebbero comportare aumenti Irpef dello 0,4-0,5 per cento, ed essere graduate secondo criteri “di virtù”: chi ha mano più lieve oggi avrebbe più libertà di imposta. I sindaci, riuniti nella loro potentissima lobby dell'Anci, rivendicano libertà totale nel riservarsi questo prelievo “per non andare ogni tre anni dal governo con il cappello in mano”. Comprensibile: ma in cambio dell'autonomia che cosa offrono? Servizi indispensabili, magari sostitutivi dello Stato, o spese discrezionali? E in che forme hanno intenzione di consultare i loro amministrati? Siamo sicuri che molti sono pronti a giurare che realizzeranno bellissimi asili nidi e centri per anziani degni della Svizzera: chi garantisce che il gettito non andrà invece in sprechi e assunzioni? Una volta stabilito l'automatismo, il controllo e la trasparenza rischiano di passare in cavalleria. E le tasse di aumentare. Prima di firmare qualsiasi accordo sarebbe il caso di spiegarlo dettagliatamente agli italiani: con poche, semplici tabelle.