Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

I fondi vogliono il tesoro di Parmalat

default_image

  • a
  • a
  • a

Ilgrande miracolo manageriale di resuscitare la Parmalat di Calisto Tanzi da parte dell'attuale ad Enrico Bondi resterà sicuramente nei manuali di storia economica. Ma una parte degli attuali azionisti non sembra curarsene. Insomma la gratitudine va bene ma business is business è la regola del mercato. Così tre dei grossi fondi internazionali che insieme hanno il 15,6% del gruppo di Collecchio hanno deciso di coalizzarsi per estromettere dalla gestione il manager e i consiglieri di amministrazione. I fondi sono Mackenzie, Skagen e Zenit e si preparano a presentare una lista comune per il nuovo Cda del gruppo alimentare. I nomi dei candidati non ci sono ancora e l'obiettivo dichiarato, su richiesta della Consob dopo le indiscrezioni sull'iniziativa, è di cambiare la gestione. Quello non esplicitato è di mandare in pensione Bondi, e di mettere le mani sul tesoretto da 1,4 miliardi di euro incassati in questi anni dall'azienda attraverso le transazioni con le banche coinvolte nel crac del 2003. Ieri la prospettiva di una politica dei dividendi più generosa ha spinto il titolo in Borsa (+5,4% a 2,26 euro). In vista della prossima assemblea di Parmalat, convocata il 12, 13 e 14 aprile sul bilancio e sul rinnovo del board in scadenza, i fondi hanno scelto di unire le forze e hanno firmato un accordo di coordinamento, valido fino al termine della stessa assemblea, per individuare 11 candidati per il Cda e 5 per il collegio sindacale, depositare le liste congiunte e votarle. In un comunicato i tre investitori spiegano di volere una «nuova fase di sviluppo» della società di Collecchio, e indicano come obiettivi principali «il rafforzamento dell'attuale posizionamento sul mercato italiano, il continuo miglioramento della performance operativa, l'ulteriore crescita derivante da una mirata espansione internazionale, anche tramite acquisizioni che accrescano il valore per gli azionisti». Si preannuncia dunque battaglia, anche perché Bondi probabilmente alzerà le barricate e tenterà di coagulare soci in grado di proporre e far passare una lista con il suo nome. Difficile insomma che si faccia da parte. La cassa - aveva chiarito il manager l'anno scorso - serve per le acquisizioni. E sulla cedola pesa il limite stabilito dallo statuto che, recependo il concordato firmato coi creditori al tempo del salvataggio del gruppo, impedisce all'azienda di distribuire per 15 anni dalla resurrezione più del 50% dell'utile.

Dai blog