di MARLOWE Per dare il clima del vertice Usa-Cina (da oggi a Washington) non partiamo dal cambio tra dollaro e yuan.
Afine 2010 Pechino ha confermato i piani per la costruzione a Shangai di una grande portaerei da 64 mila tonnellate, dopo il training sulla vecchia Varyag ex sovietica ed ucraina (per la quale i cinesi hanno comunque comprato una sessantina di Sukhoi 33). Ad essa dovrebbe seguire una seconda unità, fino a raggiungere nel 2020 una flotta da sei portarerei, comprese un paio da 93 mila tonnellate a propulsione nucleare. Contemporaneamente i vertici militari hanno presentato il primo aereo stealth, invisibile ai radar: il J-20 che dovrà tenere testa all'F-22 americano. E ancora. La Cina ha appena reso operativo il missile Dongfeng 21 D, con una gittata di 3 mila kilometri a guida satellitare, concepito espressamente per minacciare le portaerei americane. Anzi, come ha spiegato al Financial Times il comandante delle forze del Pacifico, Robert Willard, «è in moto un conto alla rovescia nel quale tutto appare destinato a mettere fine alla nostra libertà di movimento nell'intero quadrante occidentale e asiatico». Gli analisti del Pentagono si stanno sempre più rendendo conto che la Cina è passata dalla dottrina «del filo di perle», cioè di una sorveglianza continentale da basi e arcipelaghi amici, ad una da «blue water», le acque profonde degli oceani. Ad essa dovrebbero contribuire una sessantina di sottomarini nucleari dal Giappone alla California passando per l'Australia. Naturalmente nessuno a Washington e Pechino pensa che la Cina voglia far guerra agli Stati Uniti: è tuttavia evidente, nei report del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca, il desiderio cinese di prendere il posto che fu dell'Urss come seconda potenza planetaria, e magari anche di farlo un po' meglio. Tutto ciò non solo per il desiderio di proiezione d'immagine – come hanno sempre fatto gli americani – ma anche per un altro duplice obiettivo: essere presenti direttamente nei focolai di crisi e nelle guerre anomale dove dalla caduta del comunismo gli Usa si sono assunti il ruolo di unico gendarme; e garantire anche simbolicamente la copertura ad una serie di potenze emerse ed emergenti, dagli antichi nemici dell'India fino al Brasile e al Centro-America. Non si tratta solo di economie in rapidissima crescita, ma di paesi ricchi di materie prime e scorte che per la Cina sono altrettanto strategiche che per gli Usa. Insomma, se dopo la caduta del muro di Berlino è esistito un Nord del Mondo egemonizzato dalla potenza e dalla finanza americana, nella visione cinese – ed in certi incubi washingtoniani – essa sarà sempre più bilanciata da un Sud sponsorizzato da Pechino. Possibile? E' certo che gli Usa e l'Europa sono sempre più alle prese con i budget pubblici, mentre dall'inizio del 21mo secolo il Pil della Cina cresce a ritmi tripli o quadrupli rispetto agli Stati Uniti. La notizia, diffusa dai network Usa alla vigilia della visita di Hu Jintao, secondo la quale l'americano medio è convinto che la Cina sia già la prima potenza economica mondiale può essere il riflesso di paure che ci sono laggiù come da noi, di sfiducia nella Casa Bianca oppure di semplice ignoranza: solo sui tempi, però, visto che il sorpasso è previsto entro il 2020. Il contenzioso immediato è sullo yuan. La People bank of China ha alzato un po' i tassi rivalutando la moneta e dando fiato al biglietto verde. Per il segretario al Tesoro Timothy Gheitner non è ancora sufficiente, e la Cina pratica tuttora la concorrenza sleale disponendo per di più di una valuta semi-artificiale, non pienamente convertibile. Hu non sembra disposto a fare concessioni a Barack Obama, il bis di un anno fa a Pechino. Anzi, accusa gli americani di approfittare dei miliardi facili della Federal reserve per indebitarsi in dollari, investire in Cina e nelle altre economie emergenti esportando inflazione e guai sociali. I fondi sovrani di Shangai sembrano così puntare sull'Europa, sia per avere un'alternativa al dollaro sia per le possibilità di shopping a basso prezzo. Volvo, Benelli, il porto del Pireo, sarebbero solo gli antipasti. Forse prima della crisi sarebbe stato possibile pretendere dalla Cina di sottostare alle due regole-base della World trade organization, dove Pechino siede ormai dal 2001: abbandonare la valuta artificiale e combattere seriamente la pirateria informatica e tecnologica. Ora tutto dovrà essere duramente negoziato. Salvo clamorose sorprese, o miracoli, anche questo round verrà perso da Obama. E a quel punto, dopo il sostanziale isolamento dall'Europa, sarà anche lecito chiedersi per che cosa verrà ricordata questa presidenza che doveva cambiare il mondo.