A Mirafiori voto sul filo di lana
Il pressing della Fiom, spalleggiata dalla Cgil, è continuato fino alle ultime battute del voto. Mirafiori si è giocato il proprio futuro nello spazio di poche ore. L’affluenza per il referendum è stata elevata, ben il 96,07%, più di Pomigliano. Nei nove seggi allestiti per la votazione, gli operai si sono accalcati in lunghe code mentre fuori, nel piazzale antistante alla fabbrica, è continuato incessante il volantinaggio del fronte del No che ha appeso ai cancelli striscioni contro l'accordo. I Cobas muniti megafoni hanno riproposto l'audio della scena della pernacchia recitata da Eduardo De Filippo nel film «L'oro di Napoli» di Vittorio De Sica alternandolo con la musica «Me ne vado in Canadà» alludendo alla minaccia dell'ad della Fiat Marchionne di trasferire la produzione oltre Oceano in caso di vittoria del No. Alle 22,30 dopo circa un'ora di scrutinio nel primo seggio, quello del montaggio, avevano vinto i No (362) contro 300 Sì. Nel secondo dei seggi sono mancate all'appello 58 schede e si è così prospettato il «congelamento» del voto. Fino ad allora c'erano stati 407 no, 360 sì e 11 tra bianche e nulle. Insomma un pasticcio. Anche ieri intanto sono apparse scritte intimidatorie contro il manager del Lingotto. A Pistoia gli slogan sono stati contrassegnati dalla stella a cinque punte. Mentre gli operai, inseguiti dalle telecamere televisive, si alternavano al voto, dai sindacati sono continuati i commenti. Se, stando alle dichiarazioni rilasciate fuori dalla fabbrica, era prevedibile una vittoria del Sì, più difficile stimare la percentuale. Lo scontro sindacale si è spinto talmente in avanti che sarà difficile ricomporre un terreno di dialogo. Come è difficile dire quali saranno le azioni che metterà in campo la Fiom, decisa più che mai a non farsi emarginare a Mirafiori. Non solo. L'accordo di Mirafiori non è escluso che si trasformi in un modello per altri comparti industriali mandando all'aria tutto il meccanismo delle relazioni industriali e rivoluzionando il sistema della rappresentanza sindacale. Ed è questo ciò che teme di più il sindcato e soprattutto la Cgil. Il leader di Corso Italia, Susanna Camusso, ieri ha continuato a mandare bordate all'accordo di Mirafiori: «Se questo è la modernità, ben venga la conservazione; c'è l'idea antica del comando autoritario e del rapporto puramente gerarchico tra il lavoratore e l'impresa. Le ipotesi e le modalità che propone la Fiat non fanno parte della cultura di questo Paese e non devono diffondersi». Parole che sono piaciute alla Fiom. Giorgio Airaudo, responsabile Auto del sindacato, ha rimarcato la vicinanza con la Cgil. «Credo che Fiom e Cgil non possano che proseguire assieme per riaprire la vertenza su Mirafiori. Ci accomuna il giudizio negativo sull'accordo». Airaudo ha sottolineato che l'esito del voto «non cambia nulla, perchè è stato estorto e quindi la vertenza resta aperta». Poi ha ricordato che la Fiom ha «800 iscritti a Mirafiori». Come dire che non resteranno silenti. Ma dal fronte del Sì la determinazione non è minore. Il numero uno della Fim, Giuseppe Farina, ha replicato alle dichiarazioni di Luigi de Magistris (Idv) che aveva parlato di «autocertificazione di schiavitù». Deciso il tono del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi: con la vittoria del No la situazione sarebbe «sostanzialmente irreversibile il giorno dopo» con il rischio di perdere un investimento «decisivo per l'intera filiera dell'auto italiana». Su Mirafiori è tornato anche Berlusconi sottolineando che «è uno spartiacque, fra quanti, nelle imprese e nel sindacato, vogliono la modernità, e quanti si illudono di poter strumentalizzare i lavoratori per tornare al passato». E la sinistra che fa? «Come sempre - osserva Berlusconi - il Pd è diviso, non ha il coraggio si sposare la strada della modernità».