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"Se vince il No vado in Canada"

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Sergio Marchionne

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«Se vince il No, c'è il Canada. La Fiom vuole rivolgersi al tribunale contro l'accordo di Mirafiori? Lo faccia pure». L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, non fa sconti a nessuno e da Detroit, dove è per il Salone dell'Auto, fa capire che andrà dritto per la sua strada. Non lo fermeranno le scritte intimidatorie sui muri di Torino, (ieri ne sono comparse altre sui muri di Porta Palazzo, in via Nizza e nella centrale via Po con lo slogan «Marchionne infame» firmate con una A simbolo di «anarchia») né l'offensiva e le minacce della Fiom. «Se altre aziende tentano di fare come la Fiat devono sapere che si aprirà un conflitto senza precedenti» ha tuonato il segretario generale della Fiom Landini. Marchionne è intenzionato a procedere come un panzer e senza curarsi nemmeno della Confindustria, sempre più in imbarazzo, è pronto anche a trasferire la produzione in Canada. A Detroit l'ha detto a chiare lettere: «Se a Mirafiori vincesse il No, ci sono moltissime alternative». E poi racconta che venerdì scorso era in Canada a Brampton per lanciare il charger della Chrysler. «Ci hanno invitato a investire e aumentare la capacità produttiva. C'è molto riconoscimento per gli investimenti che abbiamo fatto là. Stanno aspettando di mettere il terzo turno. Lavorare sei giorni alla settimana è una disponibilità incredibile, in Europa questo è un problema, Brampton è una possibilità, ma ce ne sono moltissime altre dappertutto come Sterling Heights». L'ad sottolinea il diverso atteggiamento dei sindacati americani. Negli Usa «c'è pace in fabbrica. Si fanno auto e basta perché con i sindacati americani si chiude un accordo e si va avanti». Oltre frontiera i riconoscimenti e in Italia? «È osceno essere trattati così» accusa e avverte che se il risultato su Mirafiori sarà negativo, «torneremo a festeggiare a Detroit i risultati ottenuti negli Usa». Marchionne ha quindi riconosciuto che il governo italiano «ha fatto quello che poteva fare dando sostegno e condividendo gli obiettivi». E ha evidenziato che non un euro pubblico è stato messo nella Fiat. «Non abbiamo chiesto nulla. Il tipo di collaborazione economica che c'è stata negli Usa e in Brasile, in Italia sarebbe stata interpretata come l'ennesima richiesta di aiuto da parte dalla Fiat al governo». In Italia c'è un problema ideologico per cui «la gente non si riconosce in questa nuova proposta della Fiat». Quindi ha spiegato le prospettive con Chrysler. Il Lingotto è salito dal 20 al 25% della casa americana ed è stato possibile perché si è adempiuta la prima condizione ovvero la certificazione del primo motore con tecnologia Fiat per l'uso in America. Non solo: entro l'anno sarà possibile arrivare al 51% del gruppo americano. Ma prima di procedere all'Ipo serviranno un «paio di trimestri» di utile netto.«Le prime vetture con l'ibrido di Chrysler ci saranno probabilmente nel 2013 e usciranno in America come Chrysler 300, che arriverà in Italia come Lancia Thema, e avrà trasmissione a 8 marce e ibrido applicato». Marchionne ha voluto anche spazzare il campo dalle illazioni che si sono rincorse questi giorni sul futuro dell'Alfa Romeo e della Ferrari. «Non si vende niente. Chiuso il discorso Ferrari e quello di Iveco. Ci teniamo stretto tutto, abbiamo investito troppo». Le indiscrezioni parlavano di un utilizzo dei fondi ricavati da un'eventuale vendita di attività per ripagare il debito che Chrysler ha col Governo americano e canadese. Ma Marchionne è stato categorico: «Chrysler non ha bisogno di Fiat in quel senso e la Fiat può fare quello che deve fare con Chrysler senza vendere niente». Per rifinanziare il debito di Chrysler e prepararsi all'Ipo, Marchionne ha in programma per le prossime settimane, una serie di incontri con i banchieri. Per i conti e i dati sulle vendite «bisogna attendere il 27 gennaio», quando sarà diffusa la trimestrale del quarto trimestre.  

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