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Lo strappo per sopravvivere

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C'èuna grossa falla nella barca di Confindustria. L'ha aperta, come hanno saputo in anteprima i lettori de Il Tempo, l'amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, azzerando i contributi all'associazione di Genova e di Gorizia, cioè le due strutture territoriali in cui operano i cantieri di Riva Trigoso, Sestri Ponente e Monfalcone, la Mirafiori della cantieristica italiana per dimensioni e storia. Una volta tanto, è difficile non è essere d'accordo con la Fiom ligure che ha subito colto l'analogia tra lo strappo di Sergio Marchionne e il blitz del manager di Stato. Per carità, va preso atto che Bono, parole sue, «si riconosce pienamente nelle linee generali della politica di Confindustria». Ma questo non basta a declassare gli avvenimenti di Genova e Gorizia a mero «fatto locale». Innanzitutto perché da Confindustria arriva così un nuovo segnale di debolezza. L'ultimatum di Bono, infatti, è rimasto sul tavolo dell'associazione genovese e di quella friulana per tre settimane senza che viale dell'Astronomia fosse in grado di ricucire lo strappo. Non c'è che dire, una dimostrazione di impotenza da staterello balcanico. Nello stesso periodo lo staff di Federmeccanica aveva concordato la ripresa delle trattative per le deroghe al contratto dei meccanici al 24 gennaio, suscitando l'ira di Marchionne che ha deciso di procedere a modo e nei tempi suoi. Intanto, il direttore generale Giampaolo Galli andava in giro a proclamare ( vedi Il Foglio) che «la Fiat sbagliava quasi tutto». L'opposto di quello che, volente o nolente, andava proclamando la presidente Marcegaglia e il suo vice Alberto Bombassei. Mancava solo il dissenso delle imprese di Stato, quelle che in Confindustria comandano più di tutte, come ama accusare Paolo Rebaudengo, l'uomo delle relazioni industriali Fiat, tra i critici più feroci delle burocrazie imprenditoriali: lo strappo di Bono colma la lacuna. In gioco, sia a Monfalcone che a Mirafiori, è la capacità dell'industria italiana di agganciarsi o meno al carro della ripresa. Per capirlo, val la pena di rifarsi alle parole che Axel Weber, presidente della Bundesbank, ha pronunciato per spigare il segreto della ripresa tedesca. «Molte cose sono cambiate da noi in Germania - disse - quando si è passati dai contratti di lavoro di settore e su scala nazionale a quelli aziendali. È stata una svolta che ha liberato grandi aumenti di produttività». Questo accadrà in Fiat, sia a Mirafiori che a Pomigliano, se si instaurerà quel collegamento virtuoso tra salario e produttività che è alla base dei modelli industriali che funzionano sotto i cieli dell'economia globale, all'insegna della competizione a 360 gradi. La lezione, dunque, è che è inutile, anzi suicida, difendere un sistema di contrattazione che non appartiene a questi tempi ma merita di essere «congelato» assieme a tanti rituali che, come denuncia Bono, spesso dimenticano l'interesse degli associati. Il metodo della concertazione non funziona quando l'obiettivo è di massimizzare la creazione di valore che può emergere dal lavoro, a vantaggio degli azionisti ma, soprattutto, dei lavoratori. Guai a voler remare controcorrente: di questo passo si rischia di affogare.

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