Occhio ai tedeschi e al nostro portafogli
Da qui a una settimana la vita pubblica italiana non parlerà che del fatidico appuntamento di martedì 14, giorno della fiducia sul governo Berlusconi. A livello europeo, invece, il vero D-day sarà 48 ore dopo, a Bruxelles: quando i capi di stato e di governo dovranno mettere nero su bianco le nuove regole sugli aiuti ai paesi a rischio, ma anche e soprattutto su deficit e debito. Politicamente questa scadenza così ravvicinata giova al Cavaliere: secondo logica, solo uno spiccato autolesionismo indurrebbe ad inviare al tavolo della trattativa un premier indebolito o addirittura sfiduciato. Finita la benzina dell’entusiasmo, della novità del primo momento, ora è con il fiato corto. E molti tra quelli che lo hanno seguito fino ad adesso non capiscono che intenzioni abbia veramente. L’ultima giravolta è il sì a un governo Berlusconi-bis, dopo aver detto per settimane che mai e poi mai Futuro e Libertà avrebbe sostenuto un esecutivo con il Cavaliere. Significherebbe costringerlo a trattare con Angela Merkel e compagnia con un braccio legato dietro la schiena. Ma ormai le manovre sono in corso e non si fermeranno di fronte a quisquilie tipo i problemi dell’euro, la speculazione e quanto tutto ciò potrà incidere sui nostri portafogli. Nel frattempo, già da domenica sera e fino ad oggi i ministri finanziari sono riuniti a Bruxelles per predisporre le carte in vista del rush finale tra i big. Giulio Tremonti, in un articolo sul Financial Times scritto a quattro mani con il premier lussemburghese Jean-Claude Junker, avanza una proposta che coltiva fin dalla primavera scorsa, quando è esplosa la crisi greca: emettere obbligazioni sovrane europee, cioè e-bond o eurobond, attraverso un'Agenzia che dovrebbe sostituire l'attuale fondo di salvataggio. L'organismo – European debt agency o Eda – garantirebbe questi titoli con un equivalente fino al 40 per cento del prodotto lordo dell'Unione europea: circa 6.600 miliardi di dollari circa, 4.600 miliardi di euro. In questo modo gli attuali accantonamenti anticrisi (750 miliardi di euro, compresi 250 del Fondo monetario internazionale) verrebbero resi stabili e quasi decuplicati. Uno scudo che dovrebbe mettere al riparo contro ogni speculazione. Tremonti ha evitato di formalizzare la sua idea affidandola al più importante quotidiano economico europeo: non voleva farsela bocciare. Come in effetti sta facendo la Germania, sempre più mastino del rigore. Wolfgang Schauble, il dirimpettaio tedesco di Tremonti, obietta che andrebbero riscritte le regole comunitarie, e fin qui siamo nella forma perché quelle regole non sono le tavole della Bibbia. E poi che per garantire davvero un debito e titoli pubblici comuni, gli stati dell'Europa dovrebbero adottare le stesse politiche di bilancio pubblico. Per l'Italia questo significherebbe innanzi tutto far scendere il nostro debito pubblico dall'attuale 118 almeno a sotto il 100 per cento, armonizzare il sistema tributario e previdenziale con quello del Nord Europa, adottare standard comuni in fatto di concorrenza e lavoro. Impensabile, almeno dall'oggi al domani. Tuttavia Tremonti non si è scelto a caso il compagno di scrittura. Junker è il premier di un paese piccolo ma è anche il presidente dell'Eurogruppo (i ministri finanziari della zona euro), ed ha sempre rappresentato il punto d'equilibrio tra le esigenze tedesche e quelle degli altri partner, a cominciare dal cosiddetto Club Med, dove ci sono Italia, Spagna e Grecia, ma anche un paese forte come la Francia. Dunque l'idea potrebbe anche fare strada. Ma è evidente che i tedeschi hanno già iniziato a mettere le pistole sul tavolo. Il fondo anti-crisi dovrà comunque essere incrementato per fare fronte a possibili attacchi speculativi, o addirittura a nuovi default; e poiché Berlino mette più soldi di tutti pretende che gli altri soci si adeguino ad alcune regole di rigore. Diversamente la Merkel dovrà vedersela anche con i suoi elettori. Non solo: deve anche tenere a bada i malumori della Banca centrale europea, che sta acquistando titoli tossici di Irlanda e Portogallo, teme per la propria indipendenza e vede in corsa per la presidenza proprio un tedesco, Axel Weber, contrapposto all'italiano Mario Draghi. I tedeschi vogliono che i paesi più indebitati, come l'Italia, diano garanzie blindate sul rientro sotto il 3 per cento di deficit nel 2012. Tra noi e la Commissione europea balla oltre mezzo punto di Pil: secondo le stime del governo fra due anni avremo un deficit del 2,7 per cento, secondo Bruxelles intorno al 3,5. Ciò che ci viene richiesta è una manovra correttiva di 7-8 miliardi. Dove tagliare, non si sa. Anche perché se è vero che nel 2011 dovremo piazzare 240 miliardi di Bot, Btp e Cct in scadenza, meno rispetto a quest'anno, è altrettanto vero che a causa dell'aumento dei rendimenti salirà la spesa di interessi: da circa 77 ad oltre 80 miliardi, fino a circa 90 nel 2012. L'Italia ha già ottenuto che il debito pubblico venga valutato assieme a quello privato (famiglie e imprese), e alla sua sostenibilità. Con questi criteri passiamo dal secondo posto in Europa dietro la Grecia, al penultimo prima della Germania. Mentre ben il 40 per cento del debito è in mani italiane. Saremmo quindi più virtuosi e sostenibili. Ma appunto, tutto ciò deve ancora essere messo nero su bianco, e poi firmato. Forse sarà il caso di tenere ben presente anche quanto dichiarato proprio ieri da Draghi nel presentare, a Roma, il Rapporto sulla stabilità finanziaria italiana. «La crescita» ha detto il governatore di Bankitalia «è altrettanto fondamentale del rigore di bilancio. Crescendo si pagano i debiti, e l'economia italiana è la prima fra tutte per la bassa crescita». In altri termini, tagliare va bene ma non basta. L'economia e l'Italia in generale devono riprendere a produrre, esportare, investire, consumare. La materia prima non manca, visto che abbiamo il secondo risparmio del mondo ed il secondo sistema industriale d'Europa; e banche che – a differenza di quelle tedesche, inglesi e francesi – hanno evitato di andarsi ad impelagare in Irlanda, Grecia, Spagna e altri paesi più o meno pigs. Però, aggiungiamo noi, manca una molla che ci induca ad un maggiore ottimismo ed una maggiore fiducia. Manca quel famoso scatto che ci ha assistito in altri periodi di crisi e spesso ha stupito il mondo. Forse questa molla dovrebbe darcela la politica: ma la politica in questo periodo parla d'altro. E' tutta concentrata su come far fuori Berlusconi. Ha la testa al 14 dicembre, Cavaliere compreso; mentre sarebbe molto meglio guardare alle 48 ore successive.