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Berlino attacca l'Italia solo per il suo tornaconto

Il cancelliere tedesco Angela Merkel

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“Ein Volk, ein Reich, ein Fürher”. È lo slogan che sembra tornare di moda in certi ambienti finanziari tedeschi. Una conferma ci viene da un editoriale della Frankfurter Allgemeine Zeitung dal titolo “L'Italia si avvicina all'abisso”, e dalla conclusione che l'autore ne fa disinvoltamente discendere: “Quando il cancelliere Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble discuteranno con i partner la riforma del Patto europeo di stabilità dovrebbero mettere in conto la possibilità di una crisi italiana». Se non è un invito agli speculatori ad accomodarsi contro i nostri titoli pubblici e privati, poco ci manca. Per carità, la libertà di stampa va difesa di qua e di là delle Alpi. Non quella però di dire sciocchezze che potrebbero (e i tedeschi lo sanno molto bene) prestarsi a secondi fini. La Faz, il quotidiano della city germanica, basa tutto il suo ragionamento sul fatto che il debito pubblico italiano è salito a settembre a 1.845 miliardi, «150 in più della Germania». Innegabile. Ma a quanto ammontava il debito tedesco corretto da Eurostat a fine 2007, prima dell'esplosione della crisi? A 1.470 miliardi di euro. E quello italiano? Era di 1.600 miliardi. E di quanto è cresciuto? Di 245 miliardi: non ci pare molto più di quello tedesco. Ma siccome in base al trattato di Maastricht si valuta non solo l'entità di debiti e deficit in rapporto al Pil, ma anche la tendenza, vediamo le performance in percentuale dei due paesi.   La Germania ha visto aumentare il proprio debito del 15,3%. L'Italia esattamente del 15,3%. Stessa progressione. Anzi. Secondo recenti stime del Fondo monetario internazionale, il debito tedesco potrebbe tra un po' sorpassare quello italiano: 2.130 miliardi contro 1.930. Dunque se ci avviciniamo all'abisso noi, alla stessa velocità, o anche più, ci si avvicinano i tedeschi. Sarà questo il loro problema? O sarà il nervosismo che pervade l'intero establishment germanico per i ripetuti salvataggi di paesi a rischio default, che non vanno giù ai contribuenti? Vediamo. Ieri Angela Merkel ha lanciato un messaggio tranquillizzante ai mercati e agli europei tutti: «La Germania vuole un euro forte e non c'è alcun rischio, per nessun paese dell'eurozona, di una ristrutturazione del debito». La Cancelliera ha anche aggiunto di essere «più fiduciosa rispetto a primavera», e che il suo paese «è pronto ad agire in solidarietà». Ventiquattrore prima, al Bundestag, il Parlamento di Berlino, aveva più o meno affermato il contrario: «Siamo in una situazione straordinariamente seria per quel che riguarda lo stato dell'euro». E sia lei sia il suo ministro Schauble avevano lasciato ampiamente trapelare l'idea di una possibile uscita dalla moneta comune, di un ritorno al marco, che ovviamente sarebbe un super-marco. Sentimenti, appunto, largamente condivisi dall'opinione pubblica, e di facile presa elettorale: tutto il mondo è paese. Ma siccome la Faz accusa di irresponsabilità la nostra classe dirigente, e in questo momento ogni parola detta a certi livelli pesa come un macigno, sarebbe il caso di domandarsi chi è più irresponsabile. A meno che, come sospettano molti, e come abbiamo scritto anche ieri, il mondo finanziario e politico tedesco non stia utilizzando la crisi per i propri tornaconti. La Faz ce ne fornisce, forse involontariamente, una conferma: «È solo una questione di tempo» scrive «su quando gli investitori tireranno le conseguenze con una fuga dai titoli di Stato». Magari per riversarsi sui Bund tedeschi, che potranno così essere piazzati all'estero ad interessi sempre più bassi? Consentendo nel frattempo alle banche teutoniche, col paracadute di Stato, di investire sui paesi a rischio? Già, perché c'è una cosa che la Frankfurter si dimentica di ricordare: l'esposizione bancaria tedesca verso – facciamo un paese a caso – l'Irlanda. Al 31 marzo era di 205,8 miliardi di dollari. La seconda al mondo dopo la Gran Bretagna. Per la cronaca, quella delle banche italiane è di 28,6. Come definirla? Forse il nostro Gordon Gekko, girando i polllici nei bretelloni, direbbe semplicemente: «Bellezza, la speculazione cammina sulle voci».  

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