Il bowling dei mercati Ue
La Spagna è da tempo nel mirino. E dopo quale birillo può fare strike? Non ci vuole molto ad indovinare. Se la speculazione sceglie l’Italia, ciò che accadrà al confronto di Grecia e Irlanda sarà come la seconda guerra mondiale rispetto all’assedio di Sebastopoli. Non solo noi, i nostri risparmi e le nostre industrie andrebbero in fiamme: ma l’Europa intera. Il perché sta nei numeri. Il Pil della Grecia è di 220 miliardi di euro, il 2,5 per cento dell’Eurozona. Quello dell’Irlanda di 123 miliardi, l’1,6 della zona euro. Il Portogallo, con 150 miliardi, ha un Pil che incide per l’1,8 per cento. La differenza di standard di vita è stata finora data dalla popolazione: i greci sono poco più di 11 milioni, come i portoghesi. Gli irlandesi sono 4,4 milioni, ed in fatto di ricchezza procapite avevano sorpassato quasi tutti gli altri europei, a cominciare dagli odiati inglesi: la famosa tigre celtica. In valori assoluti stiamo però ancora ragionando di piccole frazioni. Il discorso cambia drasticamente con la Spagna, che vanta un Pil di oltre 900 miliardi, l’undicesimo al mondo, il quarto dell’Unione europea, pari all’11,5 per cento della ricchezza della zona euro. Ed ancora di più con l’Italia: oltre 1.500 miliardi di Pil, il decimo del mondo, il 14 per cento dell’Eurozona. Insomma: se l’Europa, sia quella a 27 della Ue, sia quella a 16 della valuta comune, ha retto tra mille problemi i rischi-default di Grecia e Irlanda, non resisterebbe un minuto né ad una sindrome spagnola, né tanto più italiana. Lo stesso Fondo monetario sarebbe messo a durissima prova, e l’effetto domino sui mercati mondiali risulterebbe devastante. C’è una scuola di pensiero, o un sospetto, che circola tra gli addetti ai lavori: che la Germania stia seminando allarme oltre il dovuto proprio per minare l’euro e tornare ad un marco superstar. Fantascienza? Quando si parla di soldi nulla può essere definito tale. Diciamo che – visto che siamo in piena guerra valutaria – è una sorta di testata strategica che la cancelliera Merkel ha stivato nel proprio arsenale, così come Usa e Urss con i missili nucleari della guerra fredda. Più probabilmente ciò a cui Berlino punta è un euro sotto il suo stretto controllo, nelle regole e nel valore. Finora questo ha del resto agevolato sia la straordinaria ripresa tedesca dopo la crisi – il Pil dovrebbe crescere a fine anno del 3,4 per cento, due volte e mezzo le previsioni – sia il surplus commerciale (più 15 per cento), con benefici sull’occupazione e, sperano alla Cancelleria, sul consenso politico. Ed è anche il motivo per il quale la Francia di Sarkozy, con interessi concorrenti con la Germania, non contrasta più di tanto Angela Merkel. Ma torniamo a noi. Il 16 dicembre a Bruxelles si riunirà il Consiglio europeo, cioè il summit dei capi di Stato e di governo seguito da quello dei ministri finanziari. Sarà un appuntamento cruciale, perché dovrà decidere la nuova governance continentale, cioè come valutare i piani finanziari dei singoli Paesi in termini di deficit e di debito, ed eventualmente infliggere sanzioni a partire dal 2013. L’Italia, con Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, ha finora ottenuto molto in linea di principio: soprattutto il fatto che assieme al debito pubblico venga valutato l’indebitamento privato: banche, industrie e famiglie. Quanto a debito pubblico, siamo secondi in Europa dopo la Grecia (o forse terzi se salteranno fuori cifre aggiornate della Gran Bretagna). Sommando il debito privato risultiamo invece i più virtuosi tra le economie occidentali, meglio di Germania e Usa. Ma questa è al momento un’intenzione, che ora va messa per scritto. L’Italia è riuscita a strapparla, assieme alla Francia, così come ha avuto a fianco Parigi nel convincere la Merkel a varare il piano di aiuti europeo, solo grazie ad una carta che ha potuto finora giocare: la stabilità politica, che ha prodotto il controllo dei conti pubblici. Il tutto si è tradotto nel Documento di finanza pubblica che ha sostituito la vecchia Finanziaria degli assalti al treno, nonché nel piano 2011-2020 anticipato dal Tempo il 5 novembre. Ed è all’origine della conferma del rating sul nostro debito, con outlook stabile: un lusso per pochi in tempi di declassamenti a pioggia. Ma proprio Standard & Poor’s subordina il mantenimento di questo giudizio, o addirittura il suo miglioramento, "al permanere della stabilità di governo che consenta il proseguimento del piano di riforme". Letterale. Ai mercati non interessa se Mara Carfagna resterà nel governo, se gli studenti lanciano uova contro il Senato, se arriveranno gli sgravi per il cinema e perfino della spazzatura a Napoli. Sono tutte cose che colpiscono la nostra emotività, specie nei talk show della Rai: ma riguardano noi, non l’Europa né i nostri portafogli ed il nostro destino economico. Esattamente due giorni prima di quel 16 dicembre, della resa dei conti europea, Camera e Senato voteranno la fiducia al governo. La logica e l’interesse nazionale vorrebbero che inviassimo a Bruxelles un premier ed un ministro del Tesoro rafforzati nel loro mandato. Se come pare ciò che si profila è una fiducia risicata, o a metà, c’è una sola cosa da fare: mettersi a tavolino e ragionare su come rimediare, possibilmente ampliando la maggioranza. Senza pregiudizi ma mettendo al primo punto la responsabilità, parola gettonata in questi giorni e che ora sarebbe il caso di tradurre in fatti concreti. Il ricorso alle elezioni può essere praticabile se tutto si risolve in una campagna rapida, e soprattutto se il governo ha le certezza di vincerle in entrambi i rami del Parlamento. Un ampliamento della maggioranza può avvenire attraverso le dimissioni del Cavaliere ed un reincarico blindato, con l’ingresso dell’Udc, un partito che non si capisce che cosa stia a fare in compagnia di Di Pietro e Nichi Vendola. Ciò comporta di deporre le armi e rinunciare ad ogni fantasia di governo tecnico o fuga futurista dalla realtà. Nel 2011 scadranno 205 miliardi di titoli di Stato, e 273 nel 2012. Nei tre anni di crisi mondiale i nostri Bot e Btp hanno retto egregiamente, contribuendo a calmierare i mercati. Non possiamo davvero permetterci ora giochi pericolosi; né se lo può permettere l’Europa.