Fini non fa Economia

Sollecitato, e forse anche indispettito, da quanti – tra i quali Il Tempo – hanno notato l’assoluta assenza di vere ricette di politica economica dal suo discorso di Bastia Umbra, ed in generale l’abissale distanza tra la decisione tutta politichese di far cadere il governo e l’emergenza che sta nuovamente terremotando i mercati e che imporrebbe stabilità e senso di responsabilità, Gianfranco Fini è corso ai ripari. Scrivendo una lettera al Sole 24 Ore. La missiva, ahimè, conferma non solo che l'economia non è il piatto preferito dal leader futurista, ma soprattutto che un paese da lui guidato avrebbe ben poco da dire in una situazione mondiale in cui Usa, Cina ed Europa si sono dichiarati una guerra valutaria che rischia di far più danni di un conflitto militare. Non che oggi con il Cavaliere e Giulio Tremonti siamo noi a guidare le operazioni (neppure la Germania ci riesce benissmo), ma almeno riduciamo gli effetti collaterali. Dalla kermesse perugina si era capito quali sono i veri bersagli di Fini: il rigore finanziario di Tremonti ed il federalismo leghista. Logico: quando devi stare dentro precisi vincoli di bilancio, quando regioni e comuni sono tenuti a rispondere ai cittadini delle loro spese, si riducono i margini per la politica di Transatlantico e le manovre di partito. Perché di questo si tratta: il neo-manifesto futurista vagheggia un nuovo modello di centrodestra sull'intero scibile planetario, dai flussi migratori al concetto di legalità, ma non dice nulla sull'economia, che è oggi al primo posto nell'agenda di tutti i leader e politici mondiali. Nella lettera al 24 Ore, Fini ripete il suo cavallo di battaglia di «guerra alla spesa» che andrebbe fatta con tagli verticali e non, alla Tremonti, orizzontali. «Tagli mirati, verticali e precisi e non orizzontali e generici», scrive il presidente della Camera. Ma che significa tagli mirati? E quanto precisa sarebbe la mira futurista, quanto impermeabile agli interessi non solo economici ma anche burocratici e clientelari che da sempre presidiano i vari centri di spesa? Vediamo un esempio, sicuramente circoscritto ma che di certo Fini conosce molto bene: il bilancio di Montecitorio. Nel 2009, in clima di austerity, la camera da lui presieduta ha approvato un piano triennale che rivendica la «crescita zero» rispetto a quanto speso nell'esercizio precedente, anziché l'incremento previsto dell'1,5 per cento annuo. Insomma, la dotazione annuale di 0,992 miliardi – non proprio bruscolini - resta la stessa del 2008 e fino al 2011. Questo sarebbe un taglio? A noi pare piuttosto lasciare le cose come stanno, anche considerando che non stiamo precisamente parlando di un ostello Caritas. E che in altri settori pubblici e privati la mannaia si è abbattuta, eccome. Poi, come è noto, nel luglio scorso Tremonti ha chiesto un taglio vero anche a deputati e senatori: e come ha provveduto la Camera forte della propria autonomia? Lasciando intatta l'indennità parlamentare, che grava sui contribuenti per 94,5 milioni l'anno, ed invece riducendo di 500 euro al mese la diaria di soggiorno nel collegio elettorale e di altri 500 la voce «rapporto eletto-elettore»: leggi portaborse. Immune tutto il resto, dalle spese telefoniche (3.098 euro l'anno) a quelle di trasporto e viaggio: tra le quali spicca un rimborso forfettario di 3.323 euro a trimestre per gli spostamenti tra Fiumicino e Montecitorio. In concreto, l'introito degli onorevoli era e resta di oltre 18 mila euro al mese. Invece ai dipendenti della Camera si applicano le riduzioni automatiche di tutto il settore pubblico: il 5 per cento delle retribuzioni sopra i 90 mila euro ed il 10 per cento sopra i 150 mila, oltre al congelamento triennale dei contratti. Ricapitolando: nel primo caso, quello di competenza «sovrana» dell'assemblea da lui presieduta, Fini ha autorizzato un taglio verticale. Nel secondo, quello che dipende da Tremonti, il taglio è stato invece orizzontale. Quale dei due ha inciso di più? E quale ha più operato secondo equità? Andiamo avanti. Nella lettera al quotidiano della Confindustria, Fini rinnova le richieste «aggiuntive» dei futuristi: si va dal quoziente familiare all'esclusione dei salari dalla base Irap, fino all'aumento degli investimenti per le infrastrutture, la ricerca e l'università. Tutto giusto, se solo ce lo potessimo permettere. Fini afferma però che si tratta di misure «a costo zero», con i famosi «tagli verticali». Ne è sicuro? Per risultare credibile dovrebbe essere molto meno vago, considerando che nell'emendamento alla Finanziaria, Tremonti è riuscito a malapena a reperire poco più di 5 miliardi (tra cui uno per l'università) su 7 previsti, raschiando il fondo del barile. Ma non solo. È al corrente Fini che Nicolas Sarkozy, il leader europeo al quale ha sempre dichiarato di ispirarsi, ha tagliato le pensioni dei francesi resistendo alle rivolte di piazza; e che James Cameron, il premier tory britannico da lui citato in Umbria, ha appena chiesto di triplicare da 3.000 a 9.000 sterline le rette delle università pubbliche, scatenando la rabbia degli studenti inglesi? Vogliamo per caso arrivare a tanto?   Insomma: anche se come lui dice «nessun traguardo è precluso», sarebbe un dovere e una responsabilità aprire gli occhi sulla situazione non solo italiana, ma mondiale. E magari, sempre sul Sole 24 Ore (di martedì), leggersi un'altra lettera scritta da uno che di sicuro non è un supporter di Berlusconi: Carlo De Benedetti. «La nave del governo – dice l'Ingegnere – affonda sotto i colpi di Fini e quei tecnici convocati al tavolo del fisco somigliano all'orchestrina che suona sul ponte del Titanic». E appunto continua: «Si guardi all'esempio di Cameron nel Regno Unito. Appena insediato, il suo governo conservatore non ha perso tempo e ha operato un colossale teglio della spesa pubblica e un incremento delle imposte per i più abbienti dal 18 al 28 per cento. Cameron non ha avuto paura delle reazioni del suo elettorato e ha scelto perché quello che contava era portare il suo paese fuori dalla crisi». Altro che tagli verticali, caro Fini. Altro che comizi. Non vorremmo che a forza di futurismo si tornasse agli arditi. E visto che il suo fedelissimo Fabio Granata si dice pronto ad allearsi con Nichi Vendola, che da lì si passasse agli arditi del popolo.