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I mercati promuovono Giulio

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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L'outlook è stabile. Tradotto, significa che chi investe sull'Italia non rischia nulla, pur spuntando interessi un po' più alti rispetto a chi lo fa su Germania e Francia. È già di per sé un'ottima notizia, in epoca di declassamenti e rischi-debito a ripetizione, che a loro volta si traducono con un circolo vizioso in maggiori oneri per i vari stati. Ma sentite come dice ancora S&P: «Le prospettive stabili sull'Italia riflettono le aspettative che il governo proseguirà nel biennio 2011-2013 con il programma di consolidamento del debito incentrato sul contenimento della spesa pubblica». E qui un doppio monito: «Se l'instabilità politica dovesse impedire l'implementazione del programma corrente, o se il governo non riuscisse a fare ulteriori robusti aggiustamenti per raggiungere gli obiettivi finanziari, non si esclude una possibile pressione al ribasso del rating». E, secondo segnale: «Viceversa, se il governo italiano dovesse realizzare un consolidamento del debito più forte, attraverso avanzi primari elevati per un periodo sostenuto, ponendo il rapporto tra debito e Pil su un trend al ribasso, questo potrebbe portarci a considerare un aumento del rating a lungo termine, così come potrebbe un perseguimento più rigoroso delle riforme strutturali finalizzate al miglioramento della competitività che favorirebbero una maggiore crescita economica». In questo linguaggio da mercati finanziari, ci sono stavolta alcune cose che chiunque può cogliere immediatamente. E che si possono anzi sintetizzare così: smettetela di dedicarvi alle stupidaggini, e continuate a governare seriamente come avete fatto in questi due anni. L'Italia – aggiunge di fatto Standard & Poor's – ha tutte le potenzialità per crescere economicamente (che è ciò che conta davvero) ed essere premiata dai mercati (che è la più importante conseguenza). Noi andiamo oltre: se questo Paese – dal suo governo alla sua opposizione passando per le forze sociali – si occupassero meno delle varie Ruby, Noemi, ed ora Nadia, e più di ciò che serve al lavoro e alla produzione, non avremmo quasi problemi. Saremmo – azzardiamo – più ricchi e felici. Naturalmente Ruby e compagne non finiscono sui giornali da sole, e neppure nei talk show che vogliono il Cavaliere appeso a testa in giù. Se si arriva al punto che i quotidiani d'informazione e d'opinione scavalcano i settimanali deputati al trash, qualcuno dovrà darsi una seria regolata. Silvio Berlusconi? Certamente, anche perché siamo convinti che le sue esternazioni, le sue confidenze e le sue barzellette (e quelle del suo giro) superino di gran lunga i fatti veri. Perfino i fatti di un uomo che non è un santo, e lo dice; ma che riteniamo non sia neppure il capo di tutti i boss e di tutte le perversioni. Assieme al Cavaliere, però, una regolata devono darsela i politici di maggioranza e di opposizione, quell'assordante chiacchiericcio che dai palazzi romani, tra vero, verosimile e fasullo, rimbalza come un flipper impazzito un po' ovunque. E le procure ovviamente si attivano in massa – basta una cubista ad aprire un'inchiesta, anzi un intero filone d'indagine, e tenere in scacco un governo – e le istituzioni scricchiolano. Se ci fermassimo un attimo vedremmo, anche dalle parole di Standard & Poor's che giungono da Wall Street, non da Arcore o palazzo Grazioli, alcune cose. La più evidente è che non è affatto vero che in questi 36 mesi il governo «non ha fatto nulla». Se la rotta seguita e quella tracciata anche con le famose riforme annunciate dal Cavaliere, fossero sbagliate, non arriverebbe l'invito a continuare, con la prospettiva di una nuova promozione. Né viceversa la minaccia di sanzioni «in caso di instabilità politica». È certamente un elogio alla politica di Giulio Tremonti; ma anche un riconoscimento assieme ad un richiamo alla serietà per la coalizione ed il governo che hanno sostenuto il ministro dell'Economia. Berlusconi in testa. Una riprova? Sempre di ieri è la notizia del calo del fabbisogno statale di ottobre a 7,5 miliardi rispetto agli 11 di un anno fa. Certo, ci sono voci slittate a novembre: ma un miglioramento di oltre il 30 per cento non è uno scherzo. Ancora. Nei giorni scorsi si è saputo che i Btp italiani sono ormai annoverati, con i Bund tedeschi e gli Oat francesi, in un paniere di titoli europei sicuri rispetto ai quali si misureranno le differenze di rendimento delle obbligazioni a rischio, pubbliche e private. I famosi spread. Cose da addetti ai lavori? Non proprio: avere titoli sicuri è un sollievo per le casse dello Stato, ma anche per i portafogli delle famiglie. Dunque: perché giocarci tutto questo? In nome di che cosa? Delle intemperanze (ripetiamo: al 90 per cento verbali) di Berlusconi? Dei giochetti politici-politichesi di Gianfranco Fini? Dell'eterna voglia di spallata della sinistra, che però non vuole e non può slogarsi la spalla? Delle procure d'assalto, dei talk show alla baionetta, che sentitamente ringraziano? Vale la pena? O dovremmo pensare – tutti, dal Cavaliere in giù – ai nostri bilanci, ai nostri risparmi, ai posti di lavoro, al molto che abbiamo fatto, ed a quanto basti poco per mandarlo in briciole? In queste ore stiamo assistendo ad uno dei declini più bruschi e drammatici della storia recente: quello di Barack Obama. L'eroe di neppure due anni fa si ritrova tramortito, e con lui l'America, che ad una crisi devastante aggiunge incertezze di leadership e nebbia fitta sul futuro. Gli Usa però se la caveranno, come hanno sempre fatto, non perché siano migliori ma perché hanno la forza ed i mezzi per permetterselo. Noi non siamo gli americani: non possiamo stampare gli euro come loro i dollari, non possiamo alimentare bolle speculative, non possiamo finanziare con denari pubblici banche, case automobilistiche e posti di lavoro. Motivo di più per non scherzare col fuoco. Per conservare come merce preziosa ciò che di buono è stato realizzato finora. Anche con i nostri sacrifici. Soprattutto con quelli.

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