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L'amnesia del Ft sui bonus ai banchieri

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Ciè andato giù duro il Financial Times, bibbia della finanza del mondo anglosassone, contro i vertici di Unicredit rei di non aver mosso un dito per arginare il salasso che l'ex ad Alessandro Profumo ha imposto al gruppo di Piazza Cordusio per lasciare il timone della banca. «Una totale assenza di indignazione per un paracadute d'oro da 40 milioni di euro che è solo un'assurdita» ha tuonato dalle colonne del quotidiano l'editorialista Patrick Jenkins. Che dopo avere sottolineato che si tratta della liquidazione «più generosa di quanto qualsiasi altro amministratore delegato di una banca di dimensioni simili abbia mai ricevuto» smonta pezzo per pezzo le possibili giustificazioni. Il board della banca ha sottolineato come i 40 milioni siano il premio per lo straordinario apporto fornito da Profumo in 15 anni «ma per questo il manager è già stato pagato 4,3 milioni di dollari l'anno» ha obiettato Jenkins. Il quotidiano però dimentica quanto proprio le banche inglesi e soprattutto quelle statunitensi abbiano ignorato la regola del buon senso e anche quella del buon gusto sul tema dei cosiddetti «paracaduti d'oro». L'elenco è lungo per ricordare ai severi arbitri inglesi la trave negli occhi. Si può cominciare dall'ex numero uno della Royal Bank of Scotland, Sir Fred Goodwin. Il manager che, prima di creare nella banca dei sudditi inglesi, una voragine da 24 miliardi di sterline si era costruito, fra bonus e premi, nel suo decennale regno nella banca un plafond pensionistico di 16 milioni di sterline. Un capitale che garantisce al disoccupato d'oro un assegno annuale di 693 mila sterline. Troppo alto anche per i compassati britannici che hanno pagato di tasca loro il buco. Così la protesta popolare lo ha costretto a dimezzare il suo assegno. Ma prima di mollare l'osso ci sono volute minacce e petizioni popolari. Questo solo per restare in Uk. Ma il mondo bancario Usa è maestro in questo settore. Il campione in assoluto è Richard Fuld, il padre-padrone della Lehman Brothers, fallita e accollata ai contribuenti e che dal 1993 fino al 2007 ha conseguito tra stipendi, bonus, stock options una cifra di 466 milioni di dollari. A cui ha sapientemente aggiunto la buona uscita di 22 milioni di dollari, maturata prima del fallimento bancario e dunque non aggredibile dai creditori. Non male è andata a Stanley O'Neal, ex numero uno di Merrill Lynch, che dopo essere stato retribuito con assegno per 161 milioni di dollari nel quinquennio 2002-2007 si è messo in tasca altri 160 milioni di dollari quando è uscito dall'organizzazione, giusto un anno prima del coma aziendale. E che dire di Charles Prince, ceo di Citigroup, entrato nel ruolo nell'ottobre 2003 e uscito a fine 2007, portandosi via un gruzzolo personale di 138 milioni di dollari, quando nel medesimo periodo il corso dell'azione scendeva da 47 a 20 dollari. Più discreto il campione di bridge, Jimmy Cayne (ex Presidente di Bear Stearns) che si è dovuto accontentare di 60 milioni di dollari. Una prassi che non vale solo per le banche. Ma anche per il settore industriale. Il caso di scuola è quello di Carly Fiorina, consigliere economico di John McCain, licenziata dalla Hewlett Packard con 21 milioni di dollari di paracadute. Insomma i manager sono sempre stati «dimissionati» con assegni a nove zeri. Furbizia o tenacia, tutto il mondo è paese. Oggi il Ft se la prende con il board di Piazza Cordusio. Ma quando Fuld e compagnia intascavano compensi, bonus e liquidazioni simili a bilanci di piccoli stati dove stava?

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