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Lo schiaffo alla lentezza italiana per la realizzazione del capitolo nucleare è arrivato ieri dalle colonne del Financial Times

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Latestata «Bibbia» degli investitori di tutto il mondo ha puntato il dito contro il lungo ritardo di «sette mesi» per l'avvio dell'Agenzia per la sicurezza del nucleare che sta rallentando il processo di ritorno all'atomo del Paese rispetto al programma annunciato dal Governo Berlusconi. Per i giornalisti inglesi l'esecutivo è coinvolto in troppe faide che hanno fermato molti degli appuntamenti più importanti «dell'agenda di questo governo». Un affondo che arriva sulle parole del premier Berlusconi che, nella richiesta di fiducia alla Camera, ha invece confermato l'opzione nucleare «da perseguire con convinzione e determinazione». A concordare con l'analisi del quotidiano britannico è stato il Managing Director di Rothschild Chicco Testa: «Se si sta perdendo tempo è a causa della bagarre politica di questi mesi». Di parere diametralmente opposto al Financial Times è stato invece il direttore generale del ministero dell'Ambiente, Corrado Clini, convinto che il ritardo sul programma nucleare non sia imputabile alla politica, bensì «a problemi di carattere tecnico-amministrativo» e alla «complessità di rimettere in piedi una filiera ferma da 30 anni». Il ritorno al nucleare darebbe comunque vantaggi economici e ambientali di rilievo. Secondo una ricerca presentata nei mesi scorsi al Forum Ambrosetti, l'introduzione di una quota del 25% di nucleare nel mix di generazione elettrico italiano permetterebbe di abbattere drasticamente le emissioni di CO2 e di ridurre il costo di generazione. In 10 anni, tra il 2020-2030, si potrebbero avere: minori emissioni comprese tra 236 e 381 milioni di tonnellate di CO2 e minori costi di generazione per 43/69 miliardi di euro. Non solo. Importanti sono anche i benefici economici e occupazionali. Ogni unità nucleare attiva 9 mila posti di lavoro in fase di costruzione (3 mila diretti e 6 mila indiretti e indotti); da 1.100 a 1.300 in fase di esercizio e circa 150 diretti in fase di decommissioning. La carenza di fonti di energia nucleare, infine, genera un costo dell'energia elettrica per imprese e cittadini superiore del 25-35% alla media praticata degli altri Paesi dell'Unione Europea. Un fattore che incide fortemente sulla competitività del sistema Italia.

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