Alitalia, metodo Marchionne
Possiamo andare controcorrente? Se l'Alitalia ha davvero fatto i propri conti e deciso di tagliare 1.400 dipendenti - ci sarebbero stati un annuncio informale dall'amministratore delegato, Rocco Sabelli, e una successiva smentita - farebbe bene a tenere il punto. E sbagliano, pur riconoscendo che fanno il loro lavoro, sia la Cgil sia il Partito democratico sia anche la governatrice Renata Polverini, nell'opporsi preventivamente a questa eventuale decisione. Proviamo a spiegare, in attesa che l'azienda chiarisca e senza voler certo essere più realisti del re. Innanzi tutto quei 1.400 non sarebbero personale "mandato a spasso", per dirla con la Cgil, ma addetti in più rispetto al piano originale del 2008, che prevedeva un organico fissato a quota 12.600. Poi per la rinata compagnia le cose sono andate meglio del previsto, in particolare nei primi sei mesi 2010, e soprattutto questa estate. Nel semestre gennaio-agosto l'incremento dei passeggeri è stato del 10%, la puntualità è migliorata di 10 punti attestandosi all'81 per cento, la regolarità (cioè la non cancellazione) dei voli ha toccato livelli assoluti, con il 99,9 per cento. Tutti dati migliori rispetto ai big europei e mondiali e nonostante gli strascichi della crisi che hanno inciso sia sul turismo sia sugli spostamenti d'affari. L'Alitalia ha riaperto rotte intercontinentali, in particolare con il Nord America e con il Giappone. E il 10 settembre ha fatto il record con 84.500 passeggeri. Anche la scelta di puntare su Fiumicino si è rivelata vincente: dai 34 milioni di passeggeri complessivi transitati dallo scalo romano nel 2009, si arriverà a 55 milioni nel 2020. Tanto che è previsto il completo rinnovo dell'aeroporto, con un investimento di 3,6 miliardi di euro in gran parte privati: entro il 2044 nascerà uno scalo da 100 milioni di passeggeri, tra i primi d'Europa. Tutto ciò non ha penalizzato Malpensa: come ha appena dichiarato l'amministratore delegato della Sea, Giuseppe Bonomi, sempre nel primo semestre 2010 lo scalo milanese ha registrato un aumento-boom soprattutto nelle merci, con un più 32,1 per cento. «In pratica - ha detto Bonomi - abbiamo recuperato l'intero fatturato perso con la scelta di Alitalia di fare di Fiumico il proprio hub principale». Abbiamo dunque, dati alla mano, la dimostrazione che le iniziative imprenditoriali, se attuate nella maniera giusta, funzionano. Non c'è una torta da dividere a tavolino e di cui mangiare sempre le stesse fette: c'è invece da conquistare torte nuove, ovvero darsi da fare e trovare nuovi business. Ma allora si dirà: perché non tenersi quei 1.400 dipendenti in più? Semplice: per non tornare alla logica che ha portato alla catastrofe la vecchia Alitalia. I conti della nuova azienda non sono ancora in utile; vi andranno nel 2011. La decisione spetta ovviamente ai vertici aziendali, che si farà i propri calcoli. Nel frattempo non è il caso di fare il passo più lungo della gamba tantomeno di farsi influenzare dalla politica. È obbligatorio competere, non redistribuire: quello del trasporto aereo è per definizione un settore in continua trasformazione, evoluzione e con una concorrenza molto più agguerrita rispetto all'industria manifatturiera. Siamo nei servizi, di tipo particolare però: qui i costi di infrastrutture e manutenzione sono elevati ed esposti da una parte all'andamento dei consumi, dall'altra ai prezzi del greggio. Ma soprattutto c'è un punto che gli amministratori della nuova Alitalia pensiamo abbiano presente. Due anni fa Colaninno e Sabelli stabilirono che erano il mercato e la concorrenza a venire prima, e su quelli si sarebbe regolato tutto il resto, a cominciare dal costo del lavoro. In base a questo principio, conclusero un accordo sindacale con chi si sentiva di condividere questo metodo. In un certo senso, l'Alitalia fece allora da rompighiaccio nelle relazioni sociali; e l'esempio è stato poi seguito su scala ancora più ampia da Sergio Marchionne. Affermando che lo stipendio, i dipendenti e il costo del lavoro non sono variabili a se stanti, si è salvata l'Alitalia, e si è salvata la Fiat. Entrambe sono rimaste in mani italiane, sia pure con continui accordi internazionali. Abbiamo mantenuto due settori strategici per i quali erano già stati fatti i bagagli e scritte le lettere di addio. È dunque un metodo virtuoso, che inizia a essere accettato dai lavoratori, dai sindacati, dall'opinione pubblica e dalla politica. Vogliamo sconfessare tutto e tornare agli errori del passato?