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La locomotiva Usa arranca

Barack Obama

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La ripresa frena. Anzi, forse è già finita, dando così ragione al principe dei pessimisti. Nouriel Roubini, che da mesi prevede che l'economia americana è destinata a frenare di qui alla fine dell'anno come una locomotiva che entra in stazione. I numeri giustificano, per ora, l'impressione negativa: da aprile a giugno, il prodotto interno lordo è cresciuto dell'1,6 per cento, assai meno del 2,4 su cui scommetteva la squadra degli economisti di Obama che, non a caso, proprio in questi mesi ha perso alcuni elementi di punta come Christina Rohmer, regista della battaglia contro la disoccupazione e il direttore del bilancio Peter Orzag. La frenata è ancor più evidente se messa a confronto con i dati del primo trimestre (+,3,/ per cento) e, soprattutto con le speranze suscitate dal boom di fine 2009 (+5,5 per cento) quando la terapia Obama sembrava funzionare. Invece la spinta si è esaurita a mano a mano che si esaurivano gli effetti degli stimoli decisi dalla Casa Bianca, a partire dai bonus per alleviare la crisi dell'immobiliare. È proprio sul fronte casa che suona l'allarme più inquietante: finiti gli incentivi, le vendite delle nuove case sono addirittura scivolate ai minimi dal 1963. Di fronte a questi numeri, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ieri non ha potuto che confermare, davanti ai colleghi riuniti come ogni anno a Jackson Hole nel Wyoming per fare il punto sull'economia globale, che la banca centrale americana è pronta ad intervenire acquistando titoli già in circolazione per finanziare il mercato e fornire ossigeno all'economia reale.   La situazione, ha aggiunto, è ancora sotto controllo perché la crescita rallenta (e rallenterà ancora a giudicare dall'aumento delle scorte), ma comunque di crescita si tratta. E la deflazione, a suo dire, non fa paura. La politica della Fed, insomma, non cambia: non resta che sperare che le famiglie Usa tornino a risparmiare mentre, non meno importante, cali l'allarme sul debito pubblico dei Paesi dell'area euro più esposti agli attacchi della speculazione. Inutile cambiar rotta o cercare altri rimedi anche perché, ha subito tenuto a precisare, «i banchieri centrali da soli non possono risolvere tutti i problemi dell'economia globale». Insomma, allacciamo di nuovo le cinture perché presto si tornerà a ballare. Sul fronte dei mercati finanziari e dell'economia reale. Già, perché gli squilibri che sembravano avviati a rientrare, sono riesplosi in maniera clamorosa. Cresce, innanzitutto, il deficit commerciale americano mentre torna a salire l'attivo cinese (e lo yuan resta lì) , assieme al boom clamoroso di quello tedesco. Difficile, però, che il trend positivo di Pechino e Berlino possa proseguire nonostante la frenata degli Usa, che comunque rappresentano ancora più del 30 per cento dell'economia mondiale. Facile, perciò, che anche la Germania sia destinata a rallentare con immediati riflessi per l'export italiano, più che mai legato alle commesse del made in Deutschland. Altrettanto facile prevedere, di riflesso, che pure il pil italiano è destinato a ritoccare all'ingiù il suo (modesto) tasso di crescita, pari allo 0,6 per cento. Ancor più prevedibile, ahimè, che nei prossimi mesi l'attualità economica sarà dominata da nuove tensioni sul fronte dei titoli di Stato, a partire dall'area euro. Il primo allarme è suonato sul fronte di Dublino, presto farà caldo anche su quello dei Bonos di Madrid, sottoscritti dalle banche di casa grazie all'abbondante ricorso ai prestiti in casa Bce. E l'Italia? Il nostro Paese deve far fronte a due impegnativi round di nuove emissioni, a settembre e novembre, oltre al solito percorso ad ostacoli in primavera. La situazione del Bel Paese, come ha sottolineato lo stesso presidente Barroso, resta ampiamente sotto controllo. Ma i margini di manovra per Giulio Tremonti restano stretti, anche perché i margini di manovra di Unicredit e di Intesa (nel cui portafoglio finora ingenti stock di titoli sovrani) sono meno ampi che in passato. Insomma, dagli Usa arriva un segnale preciso: non è il momento per scherzare in politica. I mercati non lo capirebbero.

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