Anche allora si assistette al duro scontro tra sindacati e Fiat.

Oggisul tappeto non c'è la fine di un marchio, ma il suo abbandono dell'Italia. La Fiom sembra ancora legata a un filo rosso a un vecchio sindacalismo. Sembra non accorgersi che, ancora una volta, per la Fiat è il momento della svolta. Nel 1980, l'azienda era in grande difficoltà. Finita l'epoca del monopolio in Italia, aveva subito la concorrenza di altri marchi. La svolta la diede l'avvocato Agnelli, che impose nel settore auto l'ingegner Ghidella, che si occupò subito del rilancio attraverso nuovi modelli. Quello di maggior successo fu la Uno. Un po' quello che vorrebbe fare ora Marchionne rilanciando su Pomigliano la nuova Panda. Oggi come allora c'è una parte del sindacato che rivendica il proprio potere di interdizione con il rischio di far naufragare ogni progetto mettendo però in pericolo migliaia di posti di lavoro. E c'è anche un parallelo, pur di gravità diverso che riguarda i tre licenziamenti di Melfi. Alla fine del '79 furono allontanati 61 operai di Mirafiori accusati di attività vicine al terrorismo. Anche allora la magistratura diede ragione, in un primo tempo, ai lavoratori, poi le accuse furono riformulate e la vicenda si incanalò su binari diversi. Oggi i tre sono stati accusati più o meno di sabotaggio. Non sono in discussione le libertà sindacali, ma la liceità delle azioni di boicottaggio. Noi sappiamo come finì allora. La Fiat guidata da Romiti, a cui Umberto Agnelli aveva ceduto la guida, impose la legalità, il diritto dell'impresa a produrre e riprese la sua corsa. Lo fece attraverso un braccio di ferro che portò al blocco di Mirafiori per 35 giorni. L'azienda voleva licenziare oltre 14 mila lavoratori e metterne in cassa integrazione 22 mila. Soprattutto voleva porre un limite al potere sindacale che impediva di concorrere con altre case. Alla fine il sindacato fu costretto a cedere, ma soprattutto non ebbe la forza di ostacolare il rilancio dell'azienda. Ora la partita si gioca soprattutto a Pomigliano. È la sfida tra chi guarda al mercato e chi ai privilegi. Ricordo una riunione voluta dall'allora ministro Foschi che convocò i vertici di Fiat e di Alfa Romeo per una ricognizione sul futuro dell'auto in Italia. I tre dirigenti dei metalmeccanici presenti Galli, Mattina e Bentivogli uscirono dicendo: l'Alfa Romeo, rispetta i sindacati e ha progetti interessanti, la Fiat invece fa solo la voce grossa. Infatti l'azienda di Stato tanto elogiata precipitò in una crisi profonda e fu rilevata e salvata proprio dalla Fiat che, con buona pace dei sindacalisti, aveva ripreso a correre. Quella lezione non è servita ai dirigenti Fiom? Per fortuna la ricordano gli operai che tra Marchionne ed Epifani hanno scelto il primo.