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Sul caso Fiat Napolitano in campo

Gli operai licenziati dalla Fiat all'ingresso dello stabilimento di Melfi

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Gianni Di Capua Superare «questo grave episodio» in attesa «di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano risponde così, rivolgendosi però anche alla Fiat, ai tre operai di Melfi che gli hanno per chiedere un intervento sulla difficile vertenza che hanno in corso con la casa automobilistica. Loro, dicono nella missiva a Napolitano, vogliono tornare a lavorare, «a guadagnarsi il pane come ogni padre di famiglia». Ricevere solo lo stipendio - come deciso dall'azienda - non gli basta. Non vogliono sentirsi «parassiti». Il Capo dello Stato capisce il disagio e risponde ai esprimendo «profondo rammarico per la tensione creatasi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro». Ora, spiega tuttavia il Presidente, bisogna attendere che l'Autorità giudiziaria e ad «essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate». L'intervento di Napolitano viene apprezzato dal segretario della Cgil Guglielmo Epifani («Il presidente mostra ancora una volta la sua grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro») e dall'opposizione. Intanto ieri Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, non sono tornati a San Nicola di Melfi e restano in attesa di conoscere la decisione del giudice sulla denuncia penale presentata lunedì contro l'azienda per «inosservanza» del decreto stesso che invece la Fiat sostiene di aver «doverosamente eseguito». Ma un appello alla Fiat arriva anche dal mondo politico, compresi alcuni esponenti del governo, oltre che del sindacato. Per il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli «le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere». «Se il nostro è uno stato di diritto - aggiunge - non lo può essere a fasi alterne».

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