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Passera apre al fondo anti crac di Profumo

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Cosìil consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, commenta la proposta avanzata dal numero uno di Unicredit Alessandro Profumo di creare un fondo privato a favore delle banche in crisi di liquidità. «Approfondiamo questa nuova modalità di fondo - ha detto infatti Passera - anche se mi sembra che tenda ad assomigliare a un fondo di salvataggio» e a patto che non si tratti di un «resolution fund». L'idea di Profumo, emersa a inizio settimana sulle colonne del Financial Times, consisterebbe nel varare un fondo privato da 20 miliardi di euro a sostegno di quelle banche che, a causa delle tensioni sul mercato finanziario, si trovano in una momentanea crisi di liquidità. Ma con la presenza di una struttura «ad hoc» riuscirebbero a sopperire al fabbisogno immediato, lanciando dei bond coperti da collaterali garantiti appunto dal fondo di garanzia. Insomma, un sistema privato - sostenuto dai primi 20 istituti europei - che permetterebbe alle banche di superare momenti di tensione senza dover ricorrere alle casse pubbliche. Un piano che dopo il primo via libera arrivato dal Commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier, trova Passera più cauto ma comunque interessato a valutare la proposta. Secondo il banchiere della Cà de Sass infatti di fondi «ce ne sono di tre tipi e con diverse caratteristiche». In primis, quelli proposti da Barnier, ovvero «fondi di garanzia dei depositi in tutti i Paesi europei, forti, solidi e armonizzati». «Un'idea molto corretta e da perseguire». Un altro tipo sono invece «i cosiddetti fondi di salvataggio, anche detti resolution fund: credo che questi abbiano più svantaggi che vantaggi». Infine, la proposta lanciata da Profumo sembrerebbe quella di «un recovery fund: bisogna capirne fino in fondo le caratteristiche. Probabilmente vale la pena approfondirle, e da quel che ho capito non è tanto un fondo per banche con problemi di solvibilità ma solo con problemi di liquidita». Detto questo Passera, come del resto spiegato ieri anche dal Financial Times, ritiene che forse un ruolo in materia spetterebbe più alle banche centrali che ai singoli istituti di credito.

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