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Far sparire l'italiano dai brevetti è un affronto all'identità europea

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Succedeche la strafottente Commissione europea, per bocca del suo irrilevante presidente, il portoghese José Manuel Durao Barroso, abbia appena confermato che della lingua italiana non gliene importa granché. La notizia: il brevetto unico europeo sarà basato su tre lingue solamente, l'inglese, il francese e il tedesco. Sostiene Barroso, che non sia possibile «fare un brevetto con 27 lingue». Ma, a parte il fatto che le lingue dell'Unione europea non sono ventisette, come Barroso dovrebbe sapere, la soluzione ragionevole è a portata di mano: alle tre lingue s'aggiungano l'italiano e lo spagnolo, come storia, economia, numero di parlanti e decenza impongono. Ma, se accanto all'inglese c'è il francese (usato da meno della metà di coloro che parlano lo spagnolo nel mondo!), se c'è il tedesco, che nessun trattato europeo ha decretato «lingua ufficiale» a scapito delle altre, l'addio all'italiano è una provocazione. Intanto, perché in Europa la nostra lingua ha, grossomodo, lo stesso numero di parlanti come madrelingua dell'inglese e del francese. Poi perché la lingua italiana ha mille e cinquanta anni di storia documentata scritta (mille e cinquanta, non è un dialetto, signor Barroso). Infine, perché Roma ha co-fondato l'Europa e non può subire un trattamento come se fosse, col massimo rispetto, la minuscola isola di Malta. In confronto ai 101 milioni parlanti il tedesco nel pianeta, inoltre, gli italofoni non sono di minor peso: sono ben 70 milioni. Ma, soprattutto, il pubblico potenziale che gli studiosi valutano è di 200 milioni di cittadini nel mondo a vario titolo «interessati» alla lingua italiana. Basti ricordare a Barroso che nella sola America latina a lui, si spera, non sconosciuta, sono quasi cinquanta milioni i soli discendenti degli italiani. Così come dovrebbe essergli noto che, facendo parte del G8, l'Italia non è una landa senza arte né parte, bensì una delle potenze industriali. Oltre a essere una fra le mete più amate e visitate dai turisti d'ogni dove, perché qui incontrano il più vasto patrimonio storico-artistico dell'umanità. Qui incontrano la Bella Lingua. Ignorare la lingua italiana, allora, vuol dire fare un dispetto innanzitutto all'universo. In secondo luogo al terzo Paese economicamente più forte, specie ora, in Europa. Infine, all'eguaglianza dei principi e dei diritti sancita dalle supreme norme europee. Il governo ha annunciato, stavolta per bocca del ministro Andrea Ronchi (politiche europee), il ricorso al veto. Guai a non farlo. Il governo italiano non può diventare complice della scomparsa dell'italiano anche dai brevetti europei, dopo aver già subito discriminazioni linguistiche inenarrabili. Il veto sarà un omaggio, pur tardivo, all'europeo più antico e moderno che esista. Lo chiamavano Dante Alighieri.

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