Pomigliano dice sì all'intesa
Un’affluenza record, superiore al 95%, e un probabile plebiscito a favore del sì. È finita così alle 21 di ieri sera la lunga giornata del voto nello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Sulle schede consegnate agli operai c'era un sì o un no all'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e le sigle sindacali, tranne la Fiom, per far ripartire la produzione del sito con nuovi cicli di lavoro. Un assenso o un dissenso fortemente strumentalizzato dalla politica radicale ma che per gli operai napoletani ha avuto un solo significato: decidere il futuro della loro fabbrica e di conseguenza della loro vita. Così anche solo per questo in tanti, la quasi totalità, si è recata ai seggi: 4.642 operai su 4.881 aventi diritto, oltre il 95%. Un'adesione altissima ha spiegato la Uilm. «Un robusto viatico per il futuro della fabbrica», ha aggiunto la Fim Cisl. Ma nessuno, allo stabilimento Fiat di Pomigliano, ieri aveva voglia di sorridere. Volti scuri, sia all'entrata sia all'uscita dei turni. Tute blu silenziose, molte a testa bassa. In un giorno in cui anche la cassa integrazione era stata annullata, proprio per consentire la partecipazione alle votazioni, la rabbia era tanta. Il lavoro, a loro, agli operai, interessava solo quello. E nella tarda serata, quando è cominciato lo spoglio, i segnali arrivati sono stati inequivocabili. Secondo i dati forniti dalla Fim Cisl su 947 schede scrutinate i sì erano 726 (76,6%), 208 i no, 9 quelle nulle e 4 le schede bianche. Insomma alla fine i lavoratori si sono tenuti alla larga dalle questioni politiche. Cosa che non ha fatto piacere al segretario del Prc Paolo Ferrero: «Marchionne parla di assenteismo? Una partecipazione al voto del 95% non si vede neanche in Bulgaria». Pienamente soddisfatto, invece, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che ha paragonato il voto di Pomigliano a quello «del referendum sulla scala mobile che consolidò l'accordo di San Valentino: da oggi il Paese si rivela ancora più moderno». Una cosa è certa. A meno di immancabili sorprese, gli operai hanno voltato le spalle all'avanguardia socialista. Che idealmente ha un grande fascino, ma che non è in grado di assicurare un reddito in una zona d'Italia con un'economia pulita fortemente depressa. La vittoria dei sì a così larga maggioranza consentirà a Sergio Marchionne di portare a Pomigliano la linea di produzione della nuova Panda. Un investimento da 700 milioni di euro che rivitalizzerà l'impianto e l'intero indotto dello stabilimento. I lavoratori non sono caduti nella trappola della radicalizzazione imposta dalla Fiom, l'ala dura della Cgil, rimasta ancorata a vecchi schemi ideologici da anni '70, spazzati via dalla globalizzazione. Ci hanno provato quelli della Fiom a spaccare il fronte dei lavoratori appellandosi al non rispetto da parte dell'azienda della Costituzione e delle leggi sul lavoro. Gli operai hanno ignorato il richiamo delle sirene della sinistra antagonista. «Vogliamo solo il lavoro» hanno gridato domenica scorsa i dipendenti scesi in strada per dire sì all'accordo. Lo avranno. La linea difensiva della Fiom, già annunciata: ricorsi, battaglie legali e ostruzionismo, servirà a poco. Così come a poco serviranno le recriminazioni che già ieri nella serata sono arrivate dallo stesso Ferrero: «Come si evince dai primi dati e dall'altissima affluenza al voto, il risultato del plebiscito imposto ai lavoratori di Pomigliano dal ricatto della Fiat darà il proprio esito scontato». Già per lui è i suoi sostenitori si è trattato di un ricatto. Per i lavoratori di una speranza.