Il miracolo che vuole Silvio Aprire l'impresa in un giorno
Berlusconi sale sul palco dell'Assemblea della Confartigianato sapendo di parlare a una parte consistente della cosiddetta «pancia del Paese». «Sono un imprenditore prestato temporaneamente alla politica» arringa il premier. E loro, gli artigiani, gli credono. L'applauso è caloroso e il clima diverso diverso rispetto a quello di qualche settimana quando nello stesso posto (l'Auditorium della Conciliazione di Roma) i confindustriali reagirono con minor entusiasmo alle sue parole. È il momento miglior per giocare il jolly già anticipato qualche giorno fa dal ministro dell'Economia, Tremonti: togliere definitivamente lo spazio a quella burocrazia il cui potere di autorizzazione si trasforma immancabilmente in un veto che limita i liberi imprenditori. «Una rivoluzione nel rapporto tra lo Stato e le imprese» spiega il premier che non si ferma al progetto ideale. Entra nel concreto. Si cambia la Costituzione per togliere dall'articolo 41 il retaggio dello scontro ideologico tra l'anima liberale e quella statalista dei padri della Repubblica. Quella parte cioè che condiziona l'attività di impresa alla funzione sociale. Norma giusta che si è però trasformata nella giungla burocratica che blocca l'iniziativa economica. Non solo. Silvio promette l'introduzione di uno Statuto per le aziende che riconosca i diritti agli imprenditori e non solo, come oggi, doveri. Una norma sarà consacrata in quella che sarà «legge entro l'autunno», assicura Berlusconi: la tassazione complessiva sull'impresa non potrà superare il tetto del 45% L'ultimo tassello della rivoluzione liberale arriva dal Presidente del Consiglio quando annuncia quella che potrebbe essere l'arma di distruzione di massa della burocrazia: il regolamento taglia autorizzazioni proposto dal ministro Calderoli che oggi potrebbe essere discusso e trasformato dal Consiglio dei ministri in un decreto legge. Un testo che istituirebbe le Agenzia delle Imprese. E cioè soggetti privati, dotati di personalità giuridica e costituiti sotto forma societaria, che avrebbero dallo Stato la possibilità di accertare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla normativa per l'esercizio dell'attività imprenditoriale. In caso di istruttoria positiva sarebbero loro a rilasciare una dichiarazione di confromità che rappresenterebbe il titolo autorizzatorio per partire. Via libera insomma senza intralci all'impresa. Sarebbero le Agenzie il meccanismo di trasmissione tra chi vuole avviare un'attività e lo Sportello unico per le attività produttive. Uno strumento già esistente per accorciare i tempi di costituzione dell'impresa ma mai decollato pienamente. Ora il premier ci riprova. Ha capito che per battere il pachiderma ci vuole un escamotage. Già tentato in realtà solo qualche anno fa e subito abortito. E cioè mettere in competizione pubblico e privato. Operatori e capitali privati in campo per autorizzare chi si vule mettere in proprio senza fare la fila a decine di sportelli. Obiettivo: tagliare i tempi biblici utilizzati dalle amministrazioni pubbliche per rispondere. Un po' sulla scorta di quanto successo nel settore del collocamento con le agenzie interinali e nell'edilizia con le società di attestazione le cosiddette Soa. Il principio è lo stesso. L'autorizzazione passa al privato. Allo Stato resta il potere di controllo e di eventuale revoca. Un attacco diretto alla burocrazia, il grande tarlo che corrode il sistema dall'interno. Berlusconi e il governo lo hanno capito. Le forze della conservazione sono i burocrati che bloccano, rallentano e rinviano. Mentre il Paese perde competitività. È già successo con il Piano Casa. Mai decollato per il balletto di autorizzazioni richieste che si è rimesso in moto. In un Italia moderna non c'è più spazio per la burocrazia. Ma vincerla sarà dura. Oggi il primo round.