Francesco Alfani Ci si mette anche l'Ungheria a far tremare il sistema dell'euro.
Amettere paura ai mercati ieri sono state le parole del portavoce del premier ungherese Viktor Orban, Peter Szijjarto. Che ha dichiarato che in assenza di interventi forti sulle finanze pubbliche del paese il rischio di fallimento potrebbe diventare concreto. Uno scenario simile a quello che ad aprile aveva visto il governo di Atene correre ai ripari per evitare la bancarotta. E che il vicepresidente del partito di governo Lajos Kosa già giovedì aveva sventolato davanti agli occhi degli stupiti analisti. Ma se quello di Kosa era sembrato solo un incidente verbale, le parole di Szijjarto hanno fatto diventare ben più concreti i fantasmi degli investitori. Il mercato ungherese è sceso del 7,15% e il fiorino, la moneta nazionale, è scivolato a 290 per un euro. Il resto d'Europa ha digerito molto male la notizia: tutte le borse hanno registrato pesanti perdite. Alla fine della seduta Piazza Affari ha lasciato sul terreno il 3,79%, Parigi il 2,86%, e Francoforte ha chiuso a -1,91%. L'euro ha subito il colpo dello spettro del crack ungherese. La moneta unica è scesa nel corso della seduta a 1,1971 dollari, toccando il minimo dalla primavera 2006. E dagli Stati Uniti arriva un'altra notizia che non tranquillizza gli operatori. Il sito del Comptroller of the Currency Administrator of National Banks riporta che 5 grandi banche americane (Jp Morgan, Bank of America, Goldman Sachs, Citibank e Wells Fargo) gestiscono di fatto da sole il mercato dei derivati Usa. Una concentrazione altissima che rende il sistema molto instabile.