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Manovra inevitabile

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Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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«Un manovra nnecessaria, inevitabile per difendere l'euro a fronte di una crisi partita dalla Grecia e alimentata dalla speculazione. Difendere l'euro significa salvare il nostro Paese, la sfida è questa. Ma è una crisi che si aggiunge a quella che viene da lontano determinata dai governi passati da quelli consociativi della Prima Repubblica a quelli di centrosinistra. Abbiamo vissuto finora al di sopra delle nostre possibilità. È una situazione senza precedenti e la manovra ci è stata chiesta dall'Europa». Silvio Berlusconi presenta con queste parole la manovra economica da 24 miliardi per il biennio 2011-2012. Accanto a lui c'è il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il vero artefice del pacchetto di misure, anche se questi ci tiene a ribadire che manovre di questo genere «le fa il premier e non un ministro». Entrambi quindi smentiscono le voci di scontri e dissidi e anzi Berlusconi si profonde in ringraziamenti al ministro «costretto spesso a dire no». Il premier difende le misure come «equilibrate perché si chiede di più a chi può di più e a chi ha evaso maggiormente». Berlusconi ha quindi indicato i pilastri della manovra: riduzione della spesa pubblica e lotta all'evasione fiscale, fermo restando l'impegno a non aumentare le tasse. Poi non ha nascosto di chiedere «un atto di responsabilità» in particolare ai dipendenti pubblici: «saranno loro a pagare il dazio della manovra perché negli ultimi anni i loro redditi sono aumentati più di quelli dei privati e poi perché godono del vantaggio della tutela del posto di lavoro e non rischiano cassa integrazione o riduzione di stipendio come invece accade nel settore privato». Per questo devono fare uno sforzo maggiore. Il premier poi conferma che «le pensioni sono tutelate e garantite». L'unica cosa che si chiede è «di restare al lavoro qualche mese di più». Poi il ruolo degli enti pubblici: «A loro chiediamo di ridurre le spese meno produttive, ma in cambio daremo loro beni demaniali che potranno valorizzare e generare nuove risorse, dando così ulteriore attuazione al federalismo fiscale». Infine il premier ha sottolineato l'intensificazione della lotta all'evasione fiscale, che in Italia vuol dire 120 miliardi di euro di mancato introito. Aumenteranno i controlli, ha spiegato Berlusconi, e si farà in modo di recuperare lo squilibrio che vede in alcune Regioni sacche di evasioni ormai incontrollate. Non ci sarà il ticket sulla specialistica, ha precisato Tremonti ma ha aggiunto che «ci sono grandi margini di manovra nel ridurre le spese nella sanità delle regioni». Il che significa che gli enti locali potrebbero anche decidere in modo autonomo di usare la leva del ticket per ripianare i bilanci. Il ministro è quindi entrato nel merito della manovra dicendo che consta di 54 articoli ed è suddivisa in due parti (una relativa alla competività economica, una alla sostenibilità finanziaria). «Invece di seguire il ritmo normale, con un decreto prima dell'estate e la finanziaria in autunno, abbiamo anticipato di un mese il decreto in base ai dati suggeriti dall'Europa», ha spiegato Tremonti che ha rimarcato come i sacrifici chiesti sono inferiori a quelli di altri Paesi. Per la competitività saranno introdotti i contratti di produttività che agganciano gli aumenti agli incrementi di produttività; la fiscalità di vantaggio con l'Irap zero per i nuovi insediamenti produttivi nel Sud; le reti di imprese, cioè contratti tra imprenditori; le zone a burocrazia zero. Sul fronte della stabilità finanziaria i capitoli sono quelli dei risparmi e della lotta all'evasione. Il taglio del 10% «è la cifra di riferimento delle spese di tutti i ministeri», ha spiegato Tremonti. Economie deriveranno dalla «soppressione, riordino o dal definanziamento di una quanità molto elevata di enti». 27 enti saranno soppressi, altri accorpati. C'è poi un elenco di 232 enti pubblici, ha detto ancora il ministro dell'Economia, «che ricevono fondi pubblici e che non hanno neanche risposto. Alcuni sono meritevoli, altri forse no. Il criterio che abbiamo seguito è stato definanziare quei trasferimenti». Poi un giro di vite alle pensioni di invalidità, il cui costo è salito a 16 miliardi, «un punto di pil l'anno».

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