Manovra, pagano gli statali I parlamentari no
La manovra la pagano i cittadini, gli statali, i turisti. Ministri, sottosegretari, deputati e senatori, invece, la fanno franca. Tranne dieci: Gianni Letta, Guido Bertolaso, Giancarlo Galan, Feruccio Fazio, Daniela Santanchè, Bartolomeo Giachino, Giuseppe Pizza, Francesco Belsito, Enzo Scotti e Giuseppe Reina. Non sono serviti a niente i dibattiti delle ultime settimane sulla necessità di tagliare gli stipendi dei parlamentari. Il botta e risposta tra chi proponeva una riduzione delle indennità del 5 per cento e chi, piuttosto, un giro di vite su auto blu e privilegi ha avuto un esito imprevedibile. I membri di Camera e Senato avranno lo stesso stipendio, più di 15 mila euro al mese. Nonostante la crisi. Sempre che Camera e Senato non decidano autonomamente di fare un piano. Le indiscrezioni dicono che potrebbero ridurre i compensi del 10 per cento. Vedremo. Per ora l'articolo 4 della manovra è chiarissimo. S'intitola «Riduzione dei costi degli apparati politici». La norma, inserita nella bozza, che prevedeva di ridurre del 10 per cento la parte dello stipendio dei parlamentari sopra gli 80 mila euro è stata depennata. Forse rimandata alle decisioni dei presidenti Fini e Schifani. La spuntano anche ministri e sottosegretari. Perché il punto 1 della stessa norma dice: «A decorrere dal 1° gennaio 2011 il trattamento economico complessivo dei ministri e dei sottosegretari di Stato che non siano membri del Parlamento nazionale è ridotto del 10 per cento per la parte eccedente l'importo di 80 mila euro. A seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non può essere comunque inferiore a 80 mila euro». La frase magica è: avranno stipendi più bassi gli esponenti di governo «che non sono membri del Parlamento nazionale». Quasi tutti però sono stati eletti senatori o deputati. Tranne, appunto, dieci persone. Loro sì che, una volta approvata la manovra, dovranno accettare una riduzione degli stipendi del 10 per cento. Per tutti gli altri c'è tempo. Salvi anche i giudici della Corte costituzionale (altro punto depennato). Alla fine vengono ridotti i gettoni di presenza e gli stipendi (sempre del 10 per cento) dei «componenti gli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria, militare, dei componenti del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana e dei componenti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro». Saranno ridotti i membri degli organi di amministrazione e di controllo degli enti pubblici e pure i componenti dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società pubbliche. Meno spese anche per convegni, mostre, pubblicità, sponsorizzazioni, studi, consulenze e missioni. Limitazioni del 20 per cento per le autovetture di servizio e i buoni taxi. Non ci stanno a subire tagli i magistrati, che proclamano lo stato di agitazione. Secondo l'Anm, infatti, la manovra economica contiene «misure inaccettabili per i magistrati e per il funzionamento del sistema giudiziario». Si tratta di «interventi punitivi che minano l'indipendenza». Le retribuzioni dei magistrati «vengono colpite tre volte: con il blocco dei meccanismi di progressione economica, con il blocco dell'adeguamento alla dinamica dei contratti pubblici e con un prelievo forzoso sugli stipendi», denuncia l'Anm. Anche se giudici e pubblici ministeri arrivano a guadagnare più di 122 mila euro all'anno. Una somma che supera le retribuzioni dei colleghi spagnoli (115 mila), francesi (105 mila) e tedeschi (86 mila). Taglia corto il ministro della Giustizia Alfano: la manovra «chiede un sacrificio al Paese».