Ancora crisi per le banche Il 2010 sarà duro

FrancescoAlfani Le banche italiane navigano a vista nelle acque agitate del mercato: la crisi ha fatto sentire i suoi effetti e ha ridotto gli utili del settore nel 2009. Lo ha confermato L'Abi, l'Associazione bancaria italiana, presentando a Roma il suo rapporto sui bilanci delle aziende di credito relativo all'anno scorso e ai primi tre mesi del 2010. I numeri del direttore generale dell'associazione Giovanni Sabatini dicono che il vento, che aveva gonfiato le vele delle banche tra il 2005 e il 2007, ha perso forza nel 2008 ed è diventato bonaccia lo scorso anno. Infatti la redditività si è ridotta dal 5,3% al 4% mentre gli utili hanno subìto una contrazione netta del 22,2% nel 2009 e del 27% nel primo trimestre di quest'anno. Che si prospetta ancora difficile per l'effetto delle sofferenze sui crediti, cresciute in un anno di 9 miliardi di euro. Si tratta dei prestiti che le famiglie e le imprese in crisi fanno fatica a restituire ai creditori, strozzate dalla riduzione del reddito e dei guadagni. Anche il recupero delle borse tra gennaio e marzo non ha garantito agli istituti di credito italiani gli stessi profitti dei colleghi inglesi e francesi. Le nostre banche infatti, ha precisato il direttore dell'Abi, hanno pochi titoli finanziari nel portafoglio, e gestiscono un numero limitato di operazioni speculative e di trading sui mercati. Il faro del settore restano sempre i piccoli risparmiatori. Ed è questa anche la forza delle banche italiane, ha sottolineato Sabatini. La raccolta delle filiali è cresciuta anche l'anno scorso e, con 1.745 miliardi, ha rappresentato il 65,1% dell'attivo degli istituti. Una base insostituibile che li ha resi poco esposti alla speculazione finanziaria. E in un anno difficile come il 2009 le banche italiane non sono state oculate solo in questo senso. Un'altra scelta vincente è stata quella di rinforzare il proprio patrimonio. La sua quota più solida (il core capital costituito dagli asset di più elevata qualità) è passata dal 6,89% all'8,20% del patrimonio di vigilanza. Anche per questo dall'Abi si sono detti scettici sui tentativi rendere più rigide le regole internazionali sui requisiti patrimoniali bancari. Per Sabatini il rischio è quello di non avere un terreno di gioco uguale per tutti gli operatori, favorendo i più spregiudicati e penalizzando le realtà più tradizionali ma più stabili come quella italiana. Da Confindustria è venuto l'invito alle banche a non abbandonare le imprese nella crisi. Richiesta raccolta dal direttore generale di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè. «Banche e imprese devono imparare a conoscersi», le parole di Micciché, per il quale occorre andare al di là dei bilanci in rosso e «premiare la progettualità impegnandosi a conoscere le persone».