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Il mini euro ora fa paura

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Il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker

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Sono lontani ormai i tempi del super euro. Solo qualche mese fa la moneta unica era considerata uno dei biglietti di cartamoneta più ambiti al mondo. Oggi non è più così. E l'euro tornato debole preoccupa, e non poco, i sedici ministri dell'Unione monetaria. Ieri riuniti a Bruxelles per discutere sulla necessaria e non più rinviabile stretta sui conti pubblici, si sono ritrovati sul tavolo i numeri di un lunedì nero per la moneta unica, scivolata ai minimi da quattro anni sul dollaro (sotto quota 1,23), ma anche ai minimi da otto anni sullo yuan. Il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, è stato il primo a non nascondere i timori per la velocità con cui l'euro si sta deprezzando: «Il livello attuale del tasso di cambio tra la moneta unica e il dollaro non è allarmante - ha spiegato - ma preoccupa la rapidità con cui tale tasso di cambio si sta deteriorando». Un'inquietudine che la Commissione Ue cerca di smorzare, parlando di «effetti sia negativi che positivi» di una moneta unica fortemente indebolita nelle ultime settimane: «È chiaro che così aumenta l'ammontare della bolletta energetica, ma è anche vero che aumentano pure le esportazioni, cosa che in questo momento è molto importante», ha spiegato il portavoce del commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn. Sottolineando come per riconquistare la fiducia dei mercati la priorità assoluta deve essere quella del consolidamento delle finanze pubbliche di Eurolandia. Una vera e propria sfida, visto che accelerare il taglio dei deficit in tutta l'Eurozona comporta inevitabilmente il rischio di compromettere una già debole ripresa. Un rischio che non sfugge a Juncker, per il quale la necessità di un maggior rigore sui conti non deve far perdere di vista quella di continuare a stimolare l'economia europea. Ma la strada appare oramai segnata. L'Eurogruppo - alla vigilia dello sblocco dei primi 14,5 miliardi di prestiti alla Grecia - ha infatti accolto favorevolmente gli ulteriori tagli decisi per il 2010 da Spagna e Portogallo, i due Paesi considerati maggiormente a rischio dopo Atene. E e ha auspicato «più sacrifici» e manovre più stringenti anche da parte di tutti gli altri. Come in effetti in molti Stati membri si sta facendo. A spingere in questa direzione soprattutto la Germania, col ministro delle finanze, Wolfgang Schauble, che ha esortato soprattutto a «passare dalle parole ai fatti sul fronte della riduzione dei debiti pubblici, vera causa dell'attuale crisi». Lanciando anche l'ipotesi di inserire nelle Costituzioni dei Paesi dell'euro un «freno ai deficit», vale a dire una soglia massima invalicabile per i disavanzi. Proprio come ha già fatto Berlino, che nella propria Carta costituzionale ha inserito una disposizione in cui si prevede di ridurre il deficit di 10 miliardi di euro, portandolo entro il 2016 allo 0,35% dall'attuale 5%.

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