Il rischio di sacrificare l'Europa dell'Est per l'euro

Nelle stesse ore in cui "Il Tempo" e questo diario della crisi escono dalle rotative, i tecnici della Commissione e i loro colleghi mettono a punto i dettagli del piano che i ministri dell'Eurozona sono chiamati ad approvare oggi. La situazione è bollente. Dopo i cali delle scorse settimane, i mercati hanno chiuso una settimana di crisi. Le borse europee hanno perso circa un decimo del loro valore, riportandosi su livelli tali da annullare i guadagni registrati a partire dal marzo dello scorso anno. La volatilità sale ai livelli più elevati da oltre un anno e i ribassi si estendono ai mercati asiatici e americani, sebbene in misura più contenuta. Crescono solo le quotazioni dei beni rifugio, oro e argento, a conferma della generalizzata maggiore incertezza e avversione al rischio. C'è dell'altro. Le vendite si sono scatenate in prossimità dell'approvazione dell'ampio piano di austerità di Atene. Come interpretare questo dato? I mercati evidentemente hanno ritenuto il piano ancora troppo vago o difficilmente sostenibile e hanno esteso gli ordini di vendita anche agli altri Paesi "periferici". Le dichiarazioni di Trichet in margine alla riunione del consiglio direttivo Bce non hanno tranquillizzato e l'euro è sceso ai minimi da 15 mesi, raggiungendo quotazioni inferiori all'1,26 contro il dollaro. I titoli del debito italiani scendono in linea con il mercato, sebbene gli spread rispetto al Bund si mantengano largamente al di sotto di quelli di Portogallo e Irlanda e lievemente inferiori a quelli della Spagna. È anche per questo che le istituzioni europee si sono riunite a mercati chiusi. Si delinea il rafforzamento del patto di stabilità, un più stringente coordinamento delle politiche di bilancio nazionali, una maggiore sorveglianza sugli squilibri strutturali e sui divari di competitività all'interno dell'Europa e una migliore regolamentazione dei mercati finanziari. Servono circa 110 miliardi di euro, 30 messi dal Fondo Monetario Internazionale e 80 dai Paesi dell'eurozona. I fondi saranno almeno in parte reperiti sui mercati pubblici da parte di un soggetto europeo unico, che a sua volta girerà la provvista finanziaria alla Grecia. Questa rubrica pensa che dal punto di vista non solo economico convenga attivare la Banca Centrale Europea o un fondo creato apposta. È invece sconveniente l'altra grande opzione sul tavolo. Nei giorni scorsi Barroso e Van Rompuy hanno infatti lasciato a intendere di essere pronti a «dirottare» sulla Grecia alcuni dei fondi destinati al sostegno di Polonia, Lettonia e Ungheria. I fondi in questione sono tanti e sono destinati per ora a Paesi fuori dalla zona euro. Detta così, sembra un invito a procedere senza troppi pensieri al «dirottamento». Dopotutto Polonia, Lettonia e Ungheria possono contare sull'aiuto del Fondo Monetario Internazionale e hanno prospettive di ripresa abbastanza rosee. Ad avviso di chi scrive, l'opzione andrebbe soppesata con cura, perché presenta rischi politici molto elevati. A dire il vero, non ne andrebbe proprio fatta menzione perché alimenta pericolosissimi sospetti all'interno della Ue. Perché? Tanto per cominciare, l'emergenza greca e la crisi dell'euro non assomigliano a altre crisi economiche recenti, come la crisi americana o quella giapponese. Molti analisti sostengono a ragione che la crisi dell'euro sia innanzitutto una crisi politica. Una crisi in cui sono in gioco sia gli equilibri della valuta comune (l'euro), sia quelli dell'intera unione europea. Fino a che punto è ancora accettabile l'attuale assetto dell'euro, basato su un compromesso a due franco-tedesco, e quello comunitario, fondato sul triangolo Parigi-Londra-Berlino? Non bisogna dimenticare che l'Europa sta da tempo vivendo un gravissimo calo di consenso. Ricordate i pollici versi alla Costituzione europea? Avete presente l'assenteismo alle urne quando si rinnova il Parlamento Europeo? Il calo di consenso è particolarmente forte nella fascia Est della Ue, in quei Paesi che da pochi anni sono usciti dalla zona di influenza sovietica. Ebbene, se l'eurozona dovesse in qualche maniera sacrificare l'Est dell'Europa per andare in soccorso della Grecia e salvaguardare la zona Euro, i rischi politici sarebbero forti. Il messaggio a chi è fuori dalla zona euro sarebbe che 1) contano di più i Paesi dell'euro di quelli fuori dall'euro, e 2) che chi è nell'euro ha accesso alla stanza dei bottoni mentre chi non lo è resta alla porta a guardare. Ricordiamo che gli affari tra tedeschi e russi (ma anche tra italiani e russi) sono cospicui e in aumento, che i corridoi energetici del sud-est europeo sono comunque fatti con l'avallo o con la diretta partecipazione dei russi, che ieri la Merkel era a Mosca, che il primo ministro greco da mesi flirta con i russi pur di trovare denaro fresco e investitori, il quadro è completo. Tutto questo ha come naturale conseguenza che i nostri cugini dell'Est si fidino di più degli USA che di Francia e Germania. Meglio non dare loro l'ennesima conferma!