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La Grecia non ci tocca

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Grecia, manifestazione di protesta sul piano antideficit

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Timori e tremori stanno creando forti tensioni sui mercati dell'area dell'euro: dopo la Grecia, è sotto tiro il Portogallo e si prepara una batteria ancora più pensante nei riguardi della Spagna. Nel 1997, un economista italiano, residente negli Usa, (ed oggi in odore di Premio Nobel), Alberto Alesina, lo aveva previsto in un documento che mandò su tutte le furie il Ministro del Tesoro e del Bilancio dell'epoca (di cui era consulente): venne allontanato. Non si poté mettere alla porta Martin Feldstein, Capo dei Comitati Economici di due Presidenti americani ed allora Presidente del Nber (l'equivalente del Cnr Usa) che sosteneva tesi analoghe a quelle di Alesina, ed in un modo ancor più sanguigno.   Alesina e Feldstein sostenevano che fare entrare nell'area dell'euro Paesi con tendenza a taroccare i conti era la ricetta per mettere a serio rischio l'intero progetto d'unione monetaria. Il direttore generale dell'Eurostat, Yves Franchet, mise in guardia il Presidente della Commissione Europa, e venne destituito; cinque anni più tardi, l'Euro-Presidente (immaginate chi era?) venne condannato al risarcimento danni dalla Corte di Giustizia Europea; ora vive a Bologna e si dedica all'Africa (poveri loro! Già con tanti guai!). All'origine degli avvertimenti di Alesina, Feldstein e molti altri c'era la convinzione che la moneta unica non potesse tenere tra Paesi profondamente differenti in termini di struttura economica, tendenze a lungo termine di produttività ed inflazione e modo di intendere le relazioni internazionali. Il detonatore non è stato la prassi d'incipriare i conti quanto ciò che Grecia, Portogallo, Spagna ed Irlanda hanno, in vario modo fatto per scansare la crisi dei mutui subprime. Tramite interventi in salvataggio delle banche e delle finanziarie a rischio hanno trasformato “i mutui spazzatura”, prima, in debito pubblico e, poi, collocando obbligazioni sul mercato internazionale (specialmente in quelli di Francia e Germania) in debito estero. Il gioco delle tre carte è finito quando il nuovo Governo greco ha trovato la casse vuote ed ha lanciato «sos» e l'Italia non è caduta in questa trappola.   In primo luogo, Via XX Settembre ha tenuto la barra dritta, facendo piangere i dicasteri di spesa ed i loro “clientes”. In secondo luogo, il nostro sistema bancario sarà meno “moderno”, ma è senza dubbio meno avventuroso e meno proclive allo shadow banking che ha pullulato in altri Paesi. In terzo luogo, conta moltissimo la nostra ancestrale (e prudenziale) cultura contadina (secondo la FAO i coltivatori diretti non modificano le loro tecniche tradizione se non vedono, in quelle nuove, la possibilità di quadruplicare i ricavi). Cosa vogliono dire le tensioni nell'area dell'euro per noi? Il “Legal Working Paper” n. 10,2009 (che Il Sole-24 Ore del 25 aprile chiamava “introvabile” ma Il Tempo ne ha copia certificata) definisce, per bocca del direttore del servizio legale della Banca centrale europea, Pheobus Athanasiou (un giurista greco – un vero caso di menesi storica in questa tragedia) - le condizioni per essere espulsi e dall'Unione Europea (Ue) e dall'Ume. Se non si mette in regola, Atene può essere cacciata dall'Ume e forse pure dall'Ue. Per questo, Portogallo e Spagna hanno i brividi.   La medicina è salatissima: una manovra di bilancio pari al 10% del pil da effettuarsi nell'arco di tre-cinque anni. Un'intensità pari al doppio di quella utilizzata dall'Italia negli Anni Novanta per essere nel gruppo di testa dell'euro. Inoltre ci vorrebbero aiuti non di 45 miliardi di euro ma di circa 75-80. In base alla loro analisi, i cristiano-sociali tedeschi chiedono che si seguano le procedure indicate da Athanassiou per mettere la Grecia alla porta. Un'espulsione - argomentano - eviterebbe il contagio a Portogallo e Spagna, servirebbe da monito e non richiederebbe una modifica dei trattati (che vietano “salvataggi” quale quello in atto). Per l'Italia non c'è che una strada: rigore interno ed internazionale, senza buonismi e lacrimucce.  

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