Unicredit, ora comanda la Lega
Comunque vada, adieu M. Arrogance. Il soprannome - dato negli anni ruggenti dei banchieri di scuola McKinsey ad Alessandro Profumo e che lui si diceva indossasse con compiacimento, - non potrà più andar bene per l'amministratore delegato di Unicredit. Che ieri per la prima volta ha dovuto adattarsi ai voleri dei suoi azionisti: in prima fila la Fondazione Cariverona, ossia per esteso la Fondazione Casse di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona. Cariverona. Ma anche le altre due fondazioni forti, Caritorino e Carimonte, e la tedesca Allianz fino alla piccola Cassamarca (Treviso), e soprattutto a Luigi Maramotti, il primo dei soci singoli con quota fino al 2 per cento, hanno forti dubbi sul progetto di Profumo di banca unica, che intendeva unificare sotto il proprio controllo le cinque controllate di piazza Cordusio con centrali in tutta Italia: Unicredit Banca (l'area retail), Unicredit Banca di Roma, Unicredit Pivate Banking, Unicredit Corporate Banking e Banco di Sicilia. Tutto rinviato ad un cda straordinario fissato il 13 aprile, e nel frattempo non sono da escludere colpi di scena. Il primo motivo di malumore è squisitamente finanziario: i soci, chiamati a sottoscrivere un doppio aumento di capitale per 7 miliardi complessivi, con i quali si è evitato all'Unicredit l'onere di prendere i Tremonti-bond, si vedono offrire un ritorno al dividendo che l'ad avrebbe stimato in tre centesimi, un po' meglio dello zero del 2009, ma lontano dagli 0,26 euro del 2008. Ma, neppure troppo sullo sfondo, si affaccia la politica. Che stavolta e dichiaratamente indossa i colori verdi della Lega. La banca unica sarebbe una «one man company» tagliata addosso a Profumo, e questo non piace alle fondazioni del Nord, Cariverona e Carimonte in testa. Ma chi nomina i 22 consiglieri della principale azionista di Unicredit? A norma di statuto, 4 sono designati dal sindaco di Verona (Flavio Tosi, Lega), uno da quello di Legnano (Roberto Rettondini, Lega), uno dal presidente della provincia di Vicenza (Attilio Schneck, Lega), ancora uno dal sindaco di Feltre (Gianvittore Vaccari, Lega). Tre sono di competenza dei vescovi di Verona, Vicenza e Belluno-Feltre: cioè l'ex «sagrestia d'Italia» alla quale tra pochi giorni il leghista Luca Zaia, oggi ministro dell'Agricoltura, andrà a mostrare in modo non ostile il vessillo di governatore del Veneto. Proprio Zaia, a febbraio, aveva animato una furibonda polemica contro Profumo, reo di avere aderito al Comitato per le Olimpiadi di Roma, in concorrenza con quelle di Venezia. Ed in particolare aveva dato una strigliata a Dino De Poli, ex onorevole Dc poi trasmigrato nel centrosinistra, ora alla presidenza di Cassamarca. In quella occasione Zaia aveva mandato a dire senza troppi giri di parole «al dottor Profumo» che d'ora in poi la Lega avrebbe vigilato «sui soldi dei veneti». Dunque, passati i tempi in cui i fidi di Umberto Bossi limitavano le bramosie finanziarie al Credieuronord, una banca di provincia dal destino non brillantissimo (tentativo di salvataggio della Bpl, e poi asset ceduti al Banco Popolare), oggi la Lega decide di avere voce in capitolo nel primo istituto italiano. E non solo. Di area leghista è Marcello Sala, consigliere di Intesa SanPaolo che Giulio Tremonti, d'accordo con Giovanni Bazoli, vorrebbe mettere a capo del fondo per le Piccole e medie imprese che verrà gestito dalla Cassa depositi e prestiti e dalle grandi banche. Ed alla Cdp è già stato designato, come amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, ex direttore generale della Mittel, uomo di fiducia di Bazoli, anche lui anello di una nuova alleanza che pare delinearsi tra i banchieri «bianchi» del Nord ed il ministro dell'Economia. Con la benedizione del delegato di Bossi per le questione di potere finanziario, ossia Giancarlo Giorgetti, ex sottosegretario, oggi presidente della Commissione Bilancio di Montecitorio. Scontata la crescita della Lega alle prossime Regionali, aumenterà l'influenza «verde» anche sul mondo bancario del Nord, grazie anche al rinnovato ruolo (e ai soldi) delle fondazioni rispetto alla precedente centralità dei top manager stile Profumo e Corrado Passera. In questo panorama – che comprende i buoni rapporti tra Carroccio, Tremonti e Chiesa – gli unici banchieri in grado di tenere botta, a cavallo tra nuovo e tradizione, tra Nord e resto d'Italia, ma anche tra l'anima leghista e quella istituzionale del centrodestra, appaiono due personaggi legati a Roma. Il primo è Cesare Geronzi, il secondo Fabrizio Palenzona. Geronzi, presidente di Mediobanca, e candidato naturale al vertice di Generali, era stato a lungo bersaglio del vecchio asse tra finanza cattolica ed Ulivo. Un asse che ora quasi non c'è più. Il secondo, vicepresidente dell'Unicredit, numero uno di Aeroporti di Roma, uomo forte di Caritorino, politicamente duttile, è artefice di un progetto assieme alla Fondazione Carige (Genova) per dare vita ad una banca del Nord-Ovest che potrebbe richiamarsi Cassa di Risparmio di Torino. L'idea ha tra gli sponsor Claudio Scajola ed avrebbe un impulso dal successo di Roberto Cota in Piemonte. L'ambizione è infatti di erodere il ruolo del San Paolo, già vicino agli Agnelli e al centrosinistra torinese. Quella che si sta delineando è dunque una piramide finanziaria a vari strati, con molte venature bianche, verdi e azzurre, dove il potere dei manager verrebbe bilanciato da quello degli azionisti. Un modello bancario e finanziario meno «global» e più «glocal», cioè rispettoso delle multiformi e scalpitanti realtà locali, secondo l'attuale filosofia tremontiana. Ed al vertice della piramide, con un ruolo di garanzia ma appunto anche di bilanciamento, potrebbe collocarsi proprio Geronzi.