L'investimento "Capitale" di Tremonti
C’era una volta il primo Tremonti, quello del 1994. Sbarcato a Roma al ministero delle Finanze dichiarò che avrebbe rivoltato come un calzino un apparato, a suo dire, burocratico, clientelare, e per questo vessatorio nei confronti dei contribuenti. Il ribaltone non consentì di verificare le sue intenzioni. Il secondo Tremonti, del 2001, fu invece quello della riduzione delle aliquote, ma anche del duro scontro con il mondo bancario in generale ed i poteri finanziari della Capitale in particolare. I “furbetti del quartierino” simboleggiati da Stefano Ricucci, la Banca d'Italia di Antonio Fazio che li spalleggiava, il barattolo dei pelati Cirio usato come portapenne che riportava in qualche modo a Cesare Geronzi, le manovre intorno a Mediobanca nelle quali Capitalia si trovò a fianco di Intesa e Unicredit: tutti bersagli del ministro. Così come il «subgoverno» che vide l'allora An di Gianfranco Fini e Gianni Alemanno e l'Udc di Marco Follini alleati e alla fine vittoriosi contro la politica tremontiana. Oggi quel Giulio Tremonti molto milanese a per converso antiromano non c'è più. Anzi. Proprio a Roma il ministro dell'Economia ha stabilito sponde politiche e alleanze economiche, trovando inoltre ciò che con la crisi finanziaria è diventato merce rara e preziosa, e che a Milano è divenuta meno disponibile: energie imprenditoriali e capitali personali. Fin da prima delle elezioni c'era stato un riavvicinamento sorprendente, con il non ancora sindaco di Roma Gianni Alemanno. L'allora capo della destra sociale di An aveva apprezzato le critiche al liberismo del saggio tremontiano La paura e la speranza, e la filosofia che ne discendeva: «Il mercato se possibile, lo Stato se necessario». Da parte sua Tremonti, già nel 2007, dichiarava: «Ciò che mi unisce ad Alemanno riguarda anche i valori spirituali comuni, perché la vita non si fa solo con il Pil». Un feeling che continua a reggere tuttora fra ministro dell'Economia e Campidoglio. Un esempio? La Corte dei Conti non ha ancora certificato il debito pregresso del Comune di Roma: le ultime stime parlano di 7,5 miliardi fino al 2008, ultimo anno di Walter Veltroni, mentre la Ragioneria dello Stato sommandovi gli impegni di programma ed il contenzioso ipotizza un trend che sfiora i 12 miliardi. Un macigno che bloccherebbe qualsiasi investimento e sviluppo futuro, e proprio per questo sindaco e ministro hanno trovato la soluzione nel separare il passato dal presente, nominando un commissario per il pregresso e considerando Alemanno responsabile in base al patto si stabilità solo per gli impegni da lui firmati. Cosa che consente alla giunta autonomia di gestione e soprattutto di continuare ad accedere ai fondi per le opere pubbliche, metropolitana in testa. Non è tutto. Gli attuali movimenti nel mondo bancario ruotano tutti intorno a Tremonti, e, grazie ad un feeling ritrovato con il mondo delle fondazioni bancarie (cioè i veri padroni delle banche) e con gli azionisti forti degli istituti di credito (in primo luogo Francesco Gaetano Caltagirone, maggiore socio privato e vicepresidente del Monte dei Paschi) sono in gran parte orientati in direzione Roma. Nella Capitale arriverà Giovanni Gorno Tempini, per sostituire Massimo Varazzani alla guida della Cassa depositi e prestiti, la cassaforte del Tesoro che deve investire almeno 50 miliardi in infrastrutture. Indicato dal direttore generale Vittorio Grilli su indicazione di Tremonti, Gorno Tempini è direttore generale della Mittel, uomo di fiducia di Giovanni Bazoli. Ex Jp Morgan, dovrà gestire la Cassa in maniera più dinamica, soprattutto con un occhio al Centro-Sud. Ma soprattutto, come scritto da Il Tempo, la Cdp potrebbe presto rilevare dalla Telecom, e portare a Roma, le rete telefonica nazionale: un affare strategico sotto tutti i punti di vista. Non basta ancora. Per la presidenza dell'Abi è in pista Giuseppe Mussari, presidente di Mps, sostenuto da Intesa e Unicredit (quindi indirettamente da Geronzi), ed ovviamente graditissimo a Caltagirone. Con il presidente uscente Corrado Faissola, al momento deciso a ricandidarsi, Tremonti ha avuto non poche schermaglie, soprattutto riguardo al funzionamento di quella operazione che si chiama Patti Chiari, e che tanto chiari finora non sono stati. Con Mussari, giurano gli insider, andrebbe meglio. Infine la quarta e decisiva partita, che dovrebbe portare Geronzi dalla presidenza di Mediobanca alla guida delle Generali; con effetti a cascata dei quali dovrebbe beneficiare, tra gli altri, Fabrizio Palenzona, il vicepresidente di Unicredit che ambisce a salire alla presidenza di piazza Cordusio, o addirittura a quella di Mediobanca. Palenzona, nato a Novi Ligure, è ormai pienamente inserito nella nomenclatura romana: presidente di Aeroporti di Roma, è in buoni rapporti sia con Geronzi sia con Caltagirone. Ed ha studiato legge a Pavia quando vi insegnava indovinate chi? Tremonti. Da allora l'amicizia non si è mai interrotta, ed oggi tornerebbe utile ad entrambi. Anche al ministro, che guarda al futuro politico. Per il quale il rapporto esclusivo con la Lega potrebbe non bastare. A Roma troverebbe l'applicazione della sua formula dell'economia sociale di mercato. E appunto anche patrimoni e capitali liquidi che, in tempi difficili, si sono rivelati indispensabili per far girare l'economia.