Bankitalia sotto tiro
Partono siluri contro il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Sul quale la stampa americana adombra il sospetto di aver partecipato ai famigerati swap, operazioni di finanza derivata, quando era all'interno della banca d'affari Usa, Goldman Sachs. L'istituto avrebbe usato strumenti di ingegneria finanziaria che sarebbero all'origine del quasi fallimento dei conti pubblici della Grecia. Un attacco ad alzo zero insomma. Così contrariamente alla consuetudine, improntata al massimo riserbo, via Nazionale reagisce e fa trapelare attraverso fonti interne una secca smentita: a quel tempo Draghi non era nell'organico della banca d'affari statunitense. Una risposta che para il colpo. Almeno per ora. Ma che non attenua il tono e la dimensione dell'attacco. A scendere in campo è il New York Times che secondo le sue ricostruzioni spiega che Goldman Sachs insieme alla Jp Morgan avrebbero aiutato la Grecia a mascherare l'entità del suo debito, mettendo in serie difficoltà l'euro. Per il quotidiano una serie di meccanismi swap messi a punto dalle due banche hanno permesso alla Grecia di ipotecare alcuni settori della propria economia mascherando parte del debito alle autorità comunitarie di Bruxelles, visto che le operazioni in questione non appaiono come prestiti bancari. Insomma un trucco bello e buono ai danni di uno stato sovrano perpetrato dai dirigenti operativi della banca Usa. Una chiamata in causa non espressa rivolta a Draghi che, di Goldman Sachs, fu vicepresidente operativo con delega sull'Europa. Un sospetto che rischia di gettare ombre su Palazzo Koch che, contrariamente alle abitudini affida alle dichiarazioni di fonti interne, la linea di difesa. L'operazione in swap con la Grecia «è stata fatta prima dell'arrivo di Mario Draghi in Goldman Sachs» spiegano le fonti che hanno puntualizzato come il Governatore «non ha avuto nulla a che fare» con quelle operazioni. Il primo paletto è dunque messo. Ma non basta. Meglio mettere subito nero su bianco anche il possibile secondo attacco. E cioè le operazioni fatte in Italia negli anni '90. «Avevano il fine di diminuire il costo del debito pubblico e non quello di nascondere l'effettivo stato dei conti pubblici: sono state pubblicamente verificate e certificate da Eurostat; sono state pubblicamente gustificate dalla Commissione europea» spiegano le fonti. Al riguardo, l'allora Commissario Ue all'Economia, Pedro Solbes sottolineò che questo tipo di operazioni «non solo non implicava alcuna manipolazione delle cifre, ma rappresentava uno strumento per migliorare la gestione del debito pubblico». Colpo parato. Ma la sensazione è che attorno a Draghi sia partito l'accerchiamento. Qualcuno dagli Usa ha già lanciato il diktat: «Non escludo che si dimetta» ha detto l'economista del Mit, Simon Johnson. La guerra sembra solo all'inizio.