Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

«Con Silvio più Italia in Kenia»

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

dall'inviatoNicola Imberti NAIROBI Lui si autodefinisce il "veterano degli italiani in Kenya". E in effetti la carta d'identità di Francesco Stame recita Roma 19 marzo 1937. Settantatre anni di cui 56 trascorsi in giro per l'Africa. Base a Nairobi ma anche Mozambico, Tanzania, Nigeria e Cameroun. La sua vita potrebbe tranquillamente servire da trama per un film di avventura. Per ora diventerà un libro in uscita il prossimo marzo. Titolo provvisorio "Dal Kilimangiaro al mare". Non un'opera autocelebrativa, ma un modo per fissare ricordi che, con il tempo, cominciano a sbiadire. Dottor Stame come è nato il suo amore per il Kenya? «Venni qui per la prima volta nel 1954 con mio padre che era un agricoltore e aveva avuto l'idea di coltivare l'anacardo. Io avevo 18 anni, avevo deciso di non andare all'università. Feci uno stage di 6 mesi in Mozambico poi aprimmo una fabbrica in Tanzania. Finita l'avventura tornai in Italia e andai a lavorare in Alitalia». Ancora Africa? «Posi come condizione proprio quella di poter tornare in Africa. Mi dissero: non ci sono molti "fessi" che fanno richieste di questo tipo, andrai in Africa. Direttore per i paesi della West Coast e per il Kenya. Fino al 1975». E poi? «Iniziai a fare l'imprenditore. Posseggo la più vecchia e stimata compagnia turistica del Kenya la Archers. Ho avuto per 20 anni la concessione di tutti i casinò del Kenya. Ho posseduto la Fiat Kenya, la società che assemblava camion Iveco e auto. Sono stato il pioniere del turismo di alto livello in Kenya in Tanzania. Safari di caccia grossa e oggi fotografici. Ho un ranch di 250mila acri vicino al Masai Mara, dove i Masai possono vivere tranquillamente, e ne ho appena venduti 150mila ad un miliardario americano. Ciò nonostante continuo ad andare in ufficio ogni mattina alle 7.30». Quindi è soddisfatto della ripresa di interesse dell'Italia nei confronti del Kenya? «L'economia italiana si è interessata al Kenya fino agli anni '80. A quei tempi Alitalia aveva 5 voli diretti e 2 cargo che trasportavano imprenditori e turisti in grande quantità. Poi, quando i collegamenti si sono interrotti c'è stata una gara a disinvestire. Le aziende hanno progressivamente abbandonato l'Africa e tutto ciò che avevano ottenuto. Oggi c'è una ripresa di interesse, ma quando hai perso 20 anni è ovvio che recuperare ti costa di più. Tra l'altro non potranno esserci investimenti se non si ripristinano i voli diretti tra Roma-Nairobi e gli altri Paesi africani precedentemente serviti. È un imperativo. I collegamenti aerei sono un volano per tutto il resto». E la politica? Deve fare di più? «I governi italiani duravano in media 6 mesi. Un disastro. Gli interlocutori cambiavano continuamente. Con Silvio Berlusconi invece le cose sono cambiate. Per cinque anni si è potuto dialogare con un governo stabile e fare progetti di lungo periodo. E comunque resta il problema dell'immagine». Cioè? «All'estero siamo rappresentati unicamente dalla Rai International! Un mezzo di comunicazione formidabile ma esclusivamente in mano alla sinistra! Ciò significa che all'estero si vedono solamente programmi che parlano male dell'Italia del suo Governo o di cose che non vanno». Perché non si fa vedere anche ciò che c'è di buono? «Altrimenti continueranno a considerarci come quelli che 50-60 anni fa lasciavano l'Italia con la valigia di cartone». Beh, per anni il Kenya (e forse tutt'ora) è stato il rifugio preferito di chi voleva sfuggire alla legge italiana? «Soprattutto dopo Tangentopoli in molti sono fuggiti in Kenya, ma hanno preferito stabilirsi sulla costa, a Malindi, dove purtroppo hanno contaminato l'ambiente. La verità è in Kenya, durante la guerra c'erano i campi di prigioni italiani. Molti di quei prigionieri sono rimasti a vivere qui. Purtroppo, quella prima generazione invecchia e comincia a morire e al loro posto non c'è una nuova generazione. I ragazzi giovani non vengono a vivere qui anche perché mancano le aziende che investono. Se ne sono andati tutti. Dagli anni '80 in poi è stato un lento declino». E lei? Non si è stufato del Kenya? «Io amo questo Paese anche se non è facile. È un Paese violento come testimoniano anche i fatti del 2007. Ora aspettiamo le elezioni del 2012».

Dai blog