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Servizi pubblici, si cambia

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diPaolo Messa A volte capita che si annuncino grandi riforme che poi non vengono realizzate. Altre volte capita che venga varata una grande riforma e se ne accorgano solo in pochissimi. Dopo la sferzata inflitta da Pierluigi Bersani con le sue lenzuolate, il tema della concorrenza e delle liberalizzazioni era rimasto come mero strumento retorico di alcuni economisti particolarmente amati dalla grande stampa nazionale. Non si contano negli ultimi anni gli editoriali e gli appelli ad intervenire sui piccoli e grandi esempi di «socialismo municipale» (la felice formula è dell'ex presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo). Ebbene, pochi giorni fa – incredibile ma vero – il governo di centrodestra ha emanato un decreto legge di adeguamento alla normativa comunitaria che contiene una vera e propria riforma liberale dei servizi pubblici locali. A parte pochi, valorosi, giornalisti, nessun professore ha sentito il bisogno di salire in cattedra per esprimere la propria soddisfazione. Sarà anche vero che le norme approvate dal Consiglio dei Ministri possono apparire incomplete agli occhi dei liberisti duri e puri ma neppure costoro negano il valore dirompente del provvedimento. Le novità principali consistono nella decadenza entro il 2011 di tutte le concessioni assegnate senza gara), nella previsione che nel caso di società quotate (come Acea, A2A, Enia, Hera e Iride) le quote di partecipazione pubblica si riducano al 30% e che nel caso di società miste il soggetto privato debba avere una quota non inferiore al 40% e debba essere scelto attraverso procedure competitive ad evidenza pubblica. Insomma, gli affidamenti diretti, «in house», diventeranno l'eccezione e non più la regola. E soprattutto si avvia una fase di massicce privatizzazioni per collocare sul mercato le quote superiori al 30% che gli enti locali detengono nelle maggiori Spa di servizi pubblici locali. Il risultato è presto detto: maggiore concorrenza e maggiore ruolo ai privati. Il ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto ha espresso grande soddisfazione e c'è da capirlo. Non si tratta solo di un successo per lui ed i suoi tecnici: queste norme indicano una vittoria politica di quanti come lui nella maggioranza invocavano una scelta riformista. Le resistenze della Lega sono state battute e, fatto non banale né scontato, il testo finale è stato approvato in Consiglio dei Ministri anche dal Carroccio. Non si può dire se una rondine faccia primavera ma il segnale è senz'altro positivo. Ora il decreto legge dovrà essere convertito in Parlamento e certamente le lobby delle utilities locali proveranno a ridurre la portata della riforma e ad introdurre nuove deroghe o tempi transitori più lunghi. È sugli scranni di Camera e Senato che si potranno misurare le reali volontà riformiste di Lega e Pdl ma anche di Pd, Idv e Udc (partito che forse più di tutti in questi anni si è battuto per liberalizzare i servizi pubblici locali). Per una volta l'impressione è che l'assedio possa essere battuto. Nonostante, o forse grazie, all'afonia dei professori che scrivono sulle prime pagine dei principali quotidiani. I quali pur di non ammettere una buona riforma del governo, fanno finta che non sia mai stata approvata.

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