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L'imperativo è tornare a crescere

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In particolare dipende dall'esistenza o meno di interventi diretti ad incentivare le aziende a modulare gli orari di lavoro. Dipende anche dal grado di flessibilità dei rapporti di impiego e dalla relativa capacità che hanno le aziende di adattare velocemente l'input di lavoro alle alterne vicende congiunturali. Nei Paesi in cui questi strumenti sono poco sviluppati e dove la flessibilità del lavoro è elevata, il ritardo tra congiuntura economica da un lato e il volume di occupazione e di disoccupazione dall'altro, risulta breve. E' questo il caso degli Stati Uniti dove il ciclo del PIL e quello dell'occupazione quasi coincidono. Il che fa dire ai responsabili del governo americano che se la domanda aggregata e la produzione recupereranno verso la fine dell'anno, si riprenderà anche l'occupazione. La caduta dell'occupazione si è già verificata negli Stati Uniti, con una perdita di diversi milioni di posti di lavoro. La disoccupazione sta già crescendo ai massimi storici. In Europa e in particolare in Italia gli effetti della crisi sull'occupazione sono più lenti: l'occupazione è diminuita sinora solo di alcune centinaia di migliaia e non di milioni di posti di lavoro: I rapporti di impiego sono più stabili e gli ammortizzatori sociali diretti alla riduzione di orario sono efficaci. Su questo ultimo versante gli sforzi del nostro Governo sono stati consistenti. Si è raggiunto lo scopo che si voleva: ridurre i costi sociali della riduzione della domanda di lavoro ed evitare di perdere il capitale umano che era stato accumulato negli anni di crescita dell'occupazione. Dobbiamo ricordarci comunque cosa ci insegna la teoria economica e l'esperienza concreta. Gli effetti sulla occupazione si manifestano sì con ritardo, ma prima o poi hanno luogo se l'economia non riprende. Ed è quanto comincia a succedere anche in Europa e in Italia. Difficile prevedere il seguito di questa vicenda e capire cosa succederà nei prossimi mesi e il Rapporto del Cnel è molto prudente nel proporre i numeri delle previsioni. Una cosa è comunque certa: se la ripresa ritarderà ancora molto, gli effetti sulla occupazione saranno pesanti e rischieranno di diventare persistenti. Sappiamo che, in larga misura, la ripresa dipenderà da fattori esterni, al di fuori del nostro controllo. Spetta a noi, però, mettere in campo gli interventi diretti a rendere socialmente sopportabili gli effetti sull'occupazione e sfruttare queste condizioni, di per sé negative, per una ristrutturazione dell'apparato produttivo per renderlo capace di sostenere la ripresa con un elevato livello di competitività. Occorrerà gestire una efficace politica della mobilità del lavoro, con politiche attive che coinvolgano le parti sociali. Bisogna insistere sul fatto che le aziende non disperdano il capitale umano accumulato, ma anche che i fattori produttivi siano impiegati secondo un utilizzo efficiente. Il nostro Paese non sarà in grado di recuperare in tempi ragionevoli , il terreno perso in questi due anni, se la futura crescita economica avverrà ai ritmi, molto modesti, del passato più recente. Il nostro potenziale di crescita va decisamente aumentato e questo può succedere solo attraverso le riforme di cui da tempo si lamenta la mancanza.

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