«L'Italia che torna al nucleare mi dà tre sentimenti: entusiasmo, tristezza e preoccupazione» spiega a Il Tempo, Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia L'entusiasmo è immaginabile
Lapreoccupazione? «Ora viene il difficile perché bisogna lavorare su una comunicazione adeguata». La tristezza? «Penso al tempo che abbiamo perso nello sviluppo della nostra tecnologia. Non voglio immaginare cosa sarebbe oggi il nostro Paese se non ci fosse stato lo stop nel 1987». Ora però si riparte. Il nostro Pil ne beneficerà? «Del nucleare vorrei fare una valutazione complessiva. Non è solo un traino economico. A questo si aggiunge lo sviluppo di discipline scientifiche e delle università e la possibilità di rientrare nel contesto internazionale. Certo l'impatto economico è importante: un impianto muove 5 miliardi di euro. Ma ripeto, la vera ricchezza è quella della conoscenza che si produce». Noi partiamo da zero? «Assolutamente no. L'industria italiana non è stata ferma. Il gruppo Finmeccanica ha continuato a operare nelle centrali in Romania con tecnologia canadese. Siamo stati nei progetti nucleari in Francia. Le competenze si sono mantenute vive. Nel 1987 c'erano nell'azienda 1500 ingegneri ne sono rimasti 200. Ora le loro conoscenze sono preziose». E dal punto di vista dei prodotti? «Da 10 anni stiamo sviluppando tecnologia con l'americana Westinghouse. A questo si può affiancare la tecnologia di Enel sviluppata con la Francia». Un punto, quest'ultimo, rispetto al quale c'è il rischio di colonizzazione? «Diciamo che il pericolo esiste. Enel ed Edf sono però solo dei committenti di impianti nucleari e la colonizzazione non ci sarà se Ansaldo continuerà a proporsi come costruttore, manutentore e sviluppatore di conoscenza». Con chi competeremo nel mondo? «Gli impianti che hanno una certificazione unica sono l'Epr francese e quello americano e, con alcuni passaggi, anche quelli russi» Tutti sicuri? «Il nodo della sicurezza va ben spiegato. Alcuni tipi di reattore delle cosiddetta terza generazione sono già al massimo della sicurezza nel senso che la probabilità statistica di un incidente è bassissima». E la quarta generazione? «La sicurezza di questa serie è vicina all'attuale. L'unica differenza è una minore produzione di scorie. Un problema che si sta risolvendo anche con le attuali tecnologie». Dunque? «Per alcuni parametri di sicurezza la terza generazione detta «Più» è simile alla quarta. Solo che quest'ultima sarà disponibile solo nel 2040. E non possiamo perdere altro tempo prezioso». Il difficile sarà convincere l'uomo della strada che vivere vicino a una centrale atomica non comporta nessun problema? «Spazziamo il campo da incertezze. La centrale quando opera non rilascia alcuna radioattività. E attorno agli impianti esiste un'area di sicurezza che consente di gestire ogni ipotetica emergenza senza coinvolgere le popolazioni». La scelta nucleare mette definitivamente fuori gioco l'utopia di un mondo alimentato solo dalle rinnovabili? «Resta un'utopia. Non dal punto di scientifico ma dal punto di vista tecnologico. Non è possibile avere un sistema con solo fonti alternative». La ragione? «Troppo dispendio energetico. Solo un esempio: per produrre un pannello fotovoltaico si consuma un carico di energia pari al 30-40% di quella che lo stesso pannello produrrà nella sua intera vita». Smonta anche l'idrogeno? «L'idrogeno non è un combustibile ma un vettore di energia. Va prodotto e per contenerlo bisogna spendere molto. Così ad esempio gestire una stazione di servizio per erogarlo avrà un costo elevato».