Tremonti e il pessimismo di Draghi
Succede negli Stati Uniti, succede, con casi anche peggiori, in gran parte dell'Unione Europea. La recessione è durissima nei numeri, ma va interpretata. Gli indici economici sono come i vecchi termometri a mercurio: in grado di misurare la febbre in un intervallo tra 35 e 42 gradi, ma non significativi, ad esempio, per capire cosa succede con 45 o 50 gradi. In altre parole con un calo del 5% siamo fuori dalla normale significatività statistica. È come se quel termometro cui accennavamo prima venisse usato per capire se l'acqua della pasta è prossima a bollire: darebbe un'informazione sbagliata. Lo stesso sta avvenendo con gli indici che illustrano il mercato del lavoro. La disoccupazione sta diventando giorno dopo giorno poco significativa presa di per sé e anche il più veritiero e diretto tasso di occupazione comincia a scricchiolare. Non c'è da offendersi e prendere cappello per questo, è una semplice constatazione. Non è un attacco alle statistiche quello che è venuto da Giulio Tremonti, ma è il riconoscimento che i termometri, a questo grado di febbre, non funzionano proprio bene. Da qui la necessità di orientarsi di fronte a questa forte frenata, senza però usare i normali strumenti. Si è detto tante volte: a situazioni eccezionali, rimedi eccezionali. E allora va capita la fase di attesa che il governo si è autoimposto (con tra l'altro il passaggio elettorale da superare) e che ora invece viene a interrompersi. Oggi comincia una fase più aggressiva della gestione della politica economica. Tremonti ha usato molte volte la metafora della «terra incognita» per descrivere l'impazzimento delle bussole statistiche cui abbiamo assistito da qualche mese a questa parte. Mancavano gli strumenti di bordo e le carte nautiche non erano disponibili: la cosa migliore era non allontanarsi troppo dal punto di partenza. Ora qualcosa si comincia a capire. C'è un rischio sull'occupazione, che potrebbe diventare molto serio verso la fine dell'anno, se i grandi sistemi produttivi, soprattutto del Nord, dovessero cominciare a esaurire le risorse per tirare avanti, come hanno fatto finora pur in presenza di ordini molto bassi. È importante che arrivi qualche segnale di risveglio dall'export (siamo stati colpiti nella parte più qualitativa delle nostre aziende, quella rivolta ai mercati mondiali). Ed è importante che questi segnali siano accompagnati, come comincia ad avvenire da oggi, da tre strumenti chiari di politica economica: una forma di detassazione virtuosa (perché mette in moto anche la catena degli investimenti) come è quella su una parte degli utili reimpiegati per la crescita aziendale, una forma diretta di sostegno alle imprese che evitano di usare i licenziamenti come variabile per far tornare i conti nel breve periodo, la determinazione di tempi brevi e certi per i pagamenti dello Stato verso i suoi fornitori. A queste tre misure si aggiunge la gestione della politica fiscale da parte di Tremonti, che, grazie ad alcuni aggiustamenti, si sta spostando verso una linea più favorevole al mondo imprenditoriale. È un inizio, come si è detto. Ma il prossimo appuntamento non è quello classico di settembre, per la vecchia legge Finanziaria. La terra incognita ha cambiato tutto, anche la gestione della finanza pubblica. Resta un'attenzione alta verso la spesa sanitaria, perché alcune regioni sono appena state messe in mora per le uscite eccessive e, in alcuni casi, prive di una decente rendicontazione. Mentre dall'altro grande fondo, quello della previdenza, le notizie non sono drammatiche. Non è tanto la limatura dei saldi di bilancio ad appassionare ora, ma la possibilità di usare per investimenti utili all'economia un'altra parte delle risorse pubbliche, mobilitando anche il forte risparmio privato ancora disponibile. Anche grazie al lancio di un prestito speciale per l'Italia, sul modello di quanto sta avvenendo in Francia. Anche questa è una carta da seguire con interesse e che potrà caratterizzare l'azione di politica economica nuova necessaria per una situazione mai vista prima.