Il nostro Welfare deve cambiare
Le famiglie numerose, i giovani monoreddito, gli anziani sono, ovviamente, le fasce più colpite. Rispetto all'Europa dei 15, inoltre, l'Italia, secondo un recente rapporto della Caritas e della Fondazione Zancan, dopo la Grecia, è il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà. Nel mondo, nel 2007 il non profit ha pesato per 302 miliardi di euro; in America il 6% del Pil è prodotto dal non profit e la forza lavoro impegnata nel terzo settore è il 7%; in Europa questa percentuale si attesta intorno al 6%, le imprese non profit sono 2 milioni e i cittadini europei che si dedicano al volontariato sono 140 milioni; in Italia siamo intorno al 2,6% e gli ultimi dati parlano di 6,8 milioni di persone assistite nel 2003 da organizzazioni di volontariato, 83.000 cooperative con 12 milioni di soci nel campo dell'impresa sociale. Secondo la mia proposta di devoluzione di alcuni servizi di natura sociale al settore non profit, lo Stato vedrebbe alleggerito il peso del proprio impegno in favore del sociale, e potrebbe concentrarsi su settori prioritari come, ad esempio, quello sanitario, pensionistico, lasciando al privato sociale l'onere di fronteggiare in maniera autonoma altri importanti settori. Lo spostamento di protezione sociale dallo Stato al settore non profit, comporterebbe una riduzione della spesa pubblica o, più esattamente, una riduzione di quella componente indicata come spesa per prestazioni sociali, e produrrebbe un ulteriore beneficio, perché consentirebbe, in astratto, di ridurre proporzionalmente pure la richiesta fiscale dello Stato. In un'ottica di sinergia e di compartecipazione attiva alla trasformazione del welfare state in welfare community un ruolo importante potrà essere giocato dalle fondazioni, di qualsiasi natura e tipo. In questa prospettiva anche il mondo della finanza e dell'impresa sono chiamati a fare la loro parte. La crisi in atto ha dimostrato come l'attività finanziaria, in particolare, sia stata spesso guidata da logiche autoreferenziali, di breve periodo, prive della dovuta considerazione nei confronti del bene comune. La lotta alla povertà, allora, necessita di una maggiore cooperazione sul piano economico-finanziario, oltre che giuridico, che permetta ai Paesi poveri di attuare soluzioni coordinate volte ad affrontare la miseria e il disagio che siano compatibili con il quadro economico globale. Servono incentivi indirizzati alle sole istituzioni efficienti e partecipate, che promuovano la cultura della legalità, e interventi convinti a favore del capitale umano, per sviluppare la cultura della libera iniziativa. Anche gli organismi internazionali competenti riconoscono oggi quanto siano preziose e vantaggiose le iniziative della società civile che si muovono in termini sussidiari con quelle delle amministrazioni locali e statali per la promozione del riscatto e dell'inclusione sociale di quelle fasce della popolazione che sono in difficoltà in quanto povere o emarginate a vario titolo e per diverse cause. Auspico, dunque, che le fondazioni europee - che si riuniscono in questi giorni a Roma per dibattere proprio su questi temi - votate a finalità di interesse collettivo e privilegiate dal contesto politico, economico, sociale in cui operano, possano fare sistema nella lotta contro le nuove povertà ed i nuovi bisogni delle nostre società. E' necessario agire consapevolmente e congiuntamente per ricomporre il mosaico di un mondo solidale e prospero, in cui la cultura della condivisione e della partecipazione al bisogno dell'altro sia una delle norme fondamentali di un nuovo codice etico globale, affinché le sfide di oggi possano mutarsi in opportunità di sviluppo e di ulteriore diffuso benessere sociale. Un ruolo fondamentale, a questo proposito, lo gioca la crisi del sistema di protezione sociale. È noto, infatti, che oggi il welfare state è in crisi, non solo per problemi di bilancio degli Stati, ma soprattutto per la sua incapacità a gestire i nuovi bisogni della società. Come vado sostenendo da tempo, occorre operare una trasformazione del tradizionale sistema di garanzie sociali, abbandonando definitivamente lo schema dello stato assistenziale e valorizzando al massimo le iniziative che in questo settore provengono dalla società, soprattutto da quella che sempre più si connota come "cittadinanza attiva". Questo sta già in parte accadendo, come dimostrano i dati sempre crescenti del peso, anche economico, assunto negli ultimi anni dal privato sociale, ma è un processo che va ulteriormente potenziato.