Serve una strategia complessiva per l'industria italiana
Bastanoquesti tre esempi a segnalare con forza che nel nostro Paese esiste un'emergenza assai più seria della separazione fra Berlusconi e la sua signora. Il futuro industriale tricolore è appeso a un filo sempre più esile eppure questo non sembra interessare più di tanto né il governo né l'opposizione, né i vertici nazionali di Confindustria e dei sindacati né i grandi media. Chimica, siderurgico e meccanica: questi sono i grandi comparti in cui si registra una sofferenza maggiore. I casi citati sopra valgono come esempi lampanti di una situazione che appare del tutto fuori dai radar delle nostre istituzioni. La stessa vicenda Fiat, giustamente esaltata da tutti i media, non è stata sin qui analizzata dal punto di vista dell'interesse nazionale. Nessuno evidentemente contesta a Marchionne l'importanza strategica di un'operazione che rappresenta forse la sfida economica più interessante e importante degli ultimi anni. Non si comprende però perché governo e sindacati americani e tedeschi siano entrati così a gamba tesa nella trattativa e noi no. E' evidente che una fusione di questa dimensione ha senso se si realizzano economie di scala. Questo, tradotto con l'accetta, vuol dire tagliare impianti e posti di lavoro. Agli stabilimenti ed ai fornitori italiani cosa succederà? Obama e la Merkel il tema, da parte loro, lo hanno posto con forza. Qui, non c'è un problema di assistenzialismo: a chi dare i denari pubblici (dibattito che appassiona molto i ministri ed alcuni noti imprenditori). Il punto vero consiste nell'avere una strategia industriale e di sviluppo. Chiedere un maggiore sforzo di visione al governo, all'opposizione e alle parti sociali non ci sembra un capriccio intellettuale, bensì una necessità concreta. Berlusconi nell'avocare a se i fondi per le imprese e nell'essere protagonista (assai capace per la verità) degli affari diplomatici delle grandi imprese italiane (Eni, Enel e Finmeccanica ed anche le più rilevanti imprese operanti nel settore delle infrastrutture) si è assunto una grande responsabilità. Gliene va dato atto con trasparenza e serietà. Allo stesso modo, va detto che quanto fatto sin qui non è sufficiente se vengono trascurati i comparti tradizionali e al contempo assai innovativi della chimica, della siderurgia e della meccanica. In ballo non ci sono solo i pur fondamentali posti di lavoro ma la tecnologia, il capitale umano più avanzato, la possibilità di dare senso alle nostre Università ed ai nostri Politecnici (e quindi agli studenti di oggi e di domani). Marghera, Taranto e Torino sono, ciascuno a proprio modo e con i propri limiti, la cartina di tornasole del nostro futuro: non possiamo sbagliare.