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Il voluto pessimismo del Fmi

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Le previsioni del Fmi sono proiezioni delle tendenze correnti. Vuol dire che, senza cambiamenti, le cose andranno così. Per questo vengono aggiornate ogni tre o sei mesi. In generale, tendono ad essere meno precise nei momenti di discontinuità. In particolare, è probabile che quelle contestate esagerino il pessimismo per problemi di metodo. Ma la metodologia prende molto bene la tendenza, anche se non i numeri. Quindi la lettura corretta del dato è che comunque la recessione nel 2009 avrà un impatto molto pesante. Tale scenario imbarazza gli eurogoverni. Le loro economie si basano su un modello economico con pesi fiscali e regolamentari tali da soffocare la crescita interna. Pertanto il Pil aumenta solo grazie all'export. La crisi in atto dipende dalla caduta della domanda globale e dell'export stesso. Per invertirla nelle singole nazioni ci vorrebbe un vero e proprio cambio del modello. Cioè ridurre sostanzialmente le tasse e i costi statali e togliere protezioni per rendere più dinamico il mercato interno. Ma la detassazione stimolativa implica un aumento temporaneo del deficit vietato dalle regole di stabilità monetaria. La riduzione dei costi statali sarebbe traumatica. L'aumento della concorrenza per vitalizzare il mercato implicherebbe una contrastata riduzione delle protezioni sindacali e corporative. La riforma produrrebbe conflitti sociali violentissimi. Il dilemma: se i governi tentano le mossa tecnicamente giusta di riforma perderebbero il consenso, ma se non contrastano la recessione con più forza perdono la crescita. Come stanno reagendo? Contengono l'impatto recessivo a valle con ammortizzatori finanziati a debito, dimostrando così di privilegiare il requisito del consenso a breve. Alla fine l'impatto in termini di disoccupazione, deindustrializzazione e di aumento del debito sarà comunque grave. Ma il dissenso resterà limitato perché i disoccupati avranno tutele. In caso di riforma del modello, invece, il dissenso sarebbe più esteso perché tutto il sistema economico ed i suoi attori subirebbero una scossa, cioè nuove sfide concorrenziali, spostamenti di lavoro, ecc.. Una doccia fredda rivitalizzante, ma portatrice di stress diffuso. Per questo i governi europei preferiscono finanziare la crisi piuttosto che risolverla. Ecco perché ci potrebbe essere stata anche intenzionalità nell'eccesso di pessimismo previsionale del Fmi. Probabilmente ha voluto segnalare ai governi europei che la scelta di gestire la crisi a valle e non a monte ne renderà più grave l'impatto è più lunga la durata, con rischio di cedimento strutturale del sistema. In effetti il pericolo c'è, ma l'elettorato europeo non è disposto a pagare i prezzi per evitarlo. E nemmeno, di conseguenza, i governi.

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