"Ora un piano a lungo termine per rilanciare l'agricoltura"
Soddisfazione per l'esito delle norme sulle quote latte. «Anche se restiamo dell'avviso che il decreto poteva essere concepito in un modo diverso» spiega a Il Tempo, Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, che aggiunge «ora però ci si sieda attorno a un tavolo e si pensi a un piano di sviluppo a lungo termine per il settore, con nuovi obiettivi e in un quadro di alleggerimento normativo». Sulle quote latte il ministro Zaia ha apprezzato l'ultima vostra posizione sul decreto. Avete cambiato punto di vista? «Il parere soddisfacente della Confagri-coltura non concerne il decreto legge 04/09, avviato sul binario morto della decadenza, bensì le modifiche introdotte in Senato e assorbite nel maxi emendamento del "decreto incentivi" del ministero dello Sviluppo economico. Sull'originario testo, invece, tutte le riserve restano immutate, e mantengono integro il giudizio negativo di Confagricoltura». Passiamo alla sua idea di un piano strategico per l'agricoltura. Non c'è il rischio di introdurre altro dirigismo. «Il mondo attorno a noi è cambiato. Dobbiamo pensare a una riformulazione degli obiettivi di tutto il settore in funzione ad esempio del problema dell'approvvigionamento alimentare dei paesi più avanzati. E degli effetti negativi della finaziarizzazione dell'agricoltura che ha portato agli aumenti incontrollati delle commodities alimentari la scorsa estate. Infine per dare un quadro certo agli investimenti necessari a rispettare le peculiarità del settore». Rischiamo di restare senza alimenti di base? «C'è stato un periodo in cui si pensava che una certa agricoltura potesse essere delegata ai paesi in via di sviluppo. Oggi si è compreso che questo ci rende vulnerabili. Faccio un esempio. Importiamo il 90% della soia per la zootecnia e il più grande produttore è il Brasile che oggi privilegia come mercato di sbocco l'Europa e l'Italia. Si può immaginare cosa potrebbe succedere se i brasiliani decidessero di dirottare le loro produzioni verso la Cina. Ed è possibile perché siamo ormai in un mercato globale». Passiamo alle soluzioni «Per evitare il rischio che dal contesto dell'economia si trasferisca al sociale occorre una governance mondiale non solo per la finanza, come si discute in questi giorni a Londra nel G20, ma anche per la produzione alimentare mondiale e per il commercio internazionale. L'occasione può essere il G8 agricolo che si terrà a Treviso dal 18 al 20 aprile e organizzato dall'Italia. Un luogo in cui si può tornare a parlare di bilateralismo. Non in senso di chiusura e protezionismo ma per dare più forza al multilateralismo. Torniamo all'Italia e alla sua idea di un piano a lungo termine. Quali altri vantaggi darebbe? «Sarebbe una piattaforma stabile a cui legare anche la nostra politica agricola in sede europea garantendo innanzitutto la tenuta del bilancio agricolo dell'Unione. Oggi difendiamo le nostre posizioni su singoli dossier come il caso del tabacco. Ma con un indirizzo di lungo termine potremmo rafforzare e rendere più certa la nostra azione negoziale a Bruxelles». Basterebbe solo questo? «Dovrebbe essere accompagnato da una forte opera di semplificazione del quadro normativo e delle strutture del settore. Penso agli organismi pubblici e privati come l'Isa, l'Ismea e Buonitalia. Ognuno si occupa di un pezzo di processo e cioè la finanziamento, lo sviluppo e la promozione. Le funzioni devono restare autonome ma si dovrebbero integrare in una sorta di superholding per il settore agricolo. A che servirebbe? «Della nostra produzione totale circa 26 miliardi di euro vanno nell'export. Il nostro futuro passa attraverso il potenziamento della rete commerciale verso l'estero. La superholding può aiutare questo processo». C'è un futuro per l'agricoltura italiana? «Sì e lo dicono i numeri. Le aziende condotte da giovani sotto i 40 anni sono passate dal 7% al 12% del totale. E sono quelle che più innovano e sono più proiettate verso l'estero».